Nicoletta Calizia, sociologa, Criminologa, esperta in violenza di genere, diritti dei minori e politiche del lavoro ha pubblicato un articolo su “Iodonna” nella quale prende sotto esame la tematica del “Femminicidio delle prostitute in Italia”, questione che, afferma la studiosa, viene di rado esaminata dai mezzi di informazione.
Per la sua analisi è stato molto utile l’articolo scientifico, dal titolo “Feminicides of prostitutes in Italy (1988-2018). Specificities and contradictions of a little explored phenomenon” scritto da Paola Degani e Gianfranco Della Valle sulla Rivista internazionale sugli studi di genere, AG, AboutGender, partner dell’Organizzazione SWS (Sociologists for Women in Society).
Questo studio affronta il tema dell'omicidio volontario delle prostitute in Italia negli ultimi tre decenni, sia che le vittime siano lavoratrici del sesso volontarie o ragazze in una situazione di sfruttamento sessuale o di tratta.
L'articolo dimostra attraverso un'analisi qualitativa degli articoli stampa come i media abbiano una scarsa considerazione di queste morti facendo anzi, una sottile differenziazione e stabilendo quali vittime siano più o meno meritevoli di essere ricordate, quali sono “colpevoli” e quali no.
Calizia sostiene che l'emersione dei casi di femminicidio negli ultimi anni nella quale la violenza avviene nelle relazioni intime abbiano offuscato la visibilità degli omicidi a danno delle prostitute e/o sex worker in strada, oscurando il concetto stesso di “femminicidio” ( omicidio di una donna per mano di un uomo per il fatto di essere donna), termine attualmente usato esclusivamente solo se il fatto criminoso avviene all'interno delle mura familiari o nella coppia e non se la violenza avviene in un contesto nella quale i legami affettivi sono assenti, come il caso, appunto, delle donne che si prostituiscono.
In Italia negli ultimi 30 anni sono stati commessi 485 omicidi volontari di prostitute. Vittime uccise non solo perchè donne ma anche perchè prostitute. La sociologa suddivide gli assassini in “intimi o di prossimità” (partner e clienti) o “criminali” (collegati alla criminalità organizzata).
Inoltre, specifica, come in questo lungo arco di tempo le prostitute autoctone siano diminuite diventando solo meno del 3% divenendo quindi per la maggior parte migranti.
Ma perchè le prostitute sono maggiormente a rischio di femminicidio?
Secondo un punto di vista criminologico, facendo esse parte della categoria degli emarginati (insieme alle persone senza casa) il rischio è indubbiamente più alto e sono considerate “più facili” per i sex offender, per via della loro accessibilità siccome sono considerate "persone invisibili, la cui scomparsa, infatti, generalmente non desta particolare preoccupazione nell’opinione pubblica. "
Per di più, usufruendo del criminal profiling, è possibile individuare sentimenti di odio e disprezzo nel modo in cui i killer uccidono le proprie vittime, molti infatti compiono questo atto siccome guidati da una “missione” cioè quella di “ripulire il mondo dalle donne di malaffare” (come dichiarò Peter Sutcliffe, il famigerato “Squartatore dello Yorkshire”, un folle omicida seriale inglese che tra il 1975-1981 massacrò 13 donne, la maggior parte prostitute, emulo del leggendario Jack the Ripper).
Da un punto di vista socio-culturale invece, Calizia riprende la divisione sessuale nel lavoro e dei ruoli sociali della donna nella società.
Il femminismo marxista, spiega la studiosa, conclude che "una donna diventa 'cattiva', ovvero prostituta, 'quando pretende di far costare, e quindi contrattare in termini di soldi, di tempo e condizioni complessive, quella che è la mansione centrale del lavoro domestico: il fare all’amore'(Dalla Costa, 1978)".
C'è anche da considerare che la vittimizzazione femminile è una conseguenza della cultura maschilista nella quale se avviene, per esempio, il “backlash effect” cioè quando i livelli di autonomia e indipendenza delle donne aumentano, e il maschio è incapace di contenere e accettare l’emancipazione femminile, condizione spesso alla base delle violenze di genere, quindi, reagiscono in maniera estrema per poter riacquisire il controllo che nel tempo il genere maschile ha perso su quello femminile.
Nicoletta Calizia conclude infine:
“A questo punto, comprendendo quanto peso abbiano le norme sociali e culturali, gli stereotipi e i ruoli di genere nella costruzione sociale di un ambiente propizio per la violenza contro le donne e in special modo la violenza contro le prostitute, sarà più semplice progettare politiche ad hoc, volte alla protezione sociale e alla tutela giuridica delle persone coinvolte, ma anche dirette al superamento dei pregiudizi e delle discriminazioni che causano marginalità ed esclusione sociale.
Necessarie, quindi, sul piano istituzionale misure di intervento inserite nel quadro più ampio delle policy orientate alla tutela dei diritti umani, con l’obiettivo di evitare e, dunque, prevenire l’abbandono e l’isolamento sociale di persone, la cui dignità viene calpestata ogni giorno.”