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mercoledì, 30 Ottobre, 2024

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Conflitti e diplomazia: un tempo si faceva la pace

Conflitti e diplomazia: un tempo si faceva la pace. Con questo titolo Carlo Verdelli sul Corriere della Sera ha parlato dei 56 conflitti attivi al momento nel mondo, il numero più alto dalla fine della Seconda guerra mondiale. Nel 2023 l’impatto globale per spese militari è stato di 19 mila miliardi di dollari, circa 2.380 dollari per ogni abitante della Terra. In questa occasione – riportando alcuni passaggi del suo editoriale – ricordiamo il nostro lavoro sulla Guerra come fabbrica di disabilità, la puntata speciale di “O anche no” andata in onda venerdì 1° dicembre, in occasione della Giornata Internazionale delle persone con disabilità, che si celebra il 3 dicembre, che si può rivedere su Rai Play a questo link: https://www.raiplay.it/video/2023/11/Speciale-O-anche-no—La-guerra-fabbrica-di-disabilita—01122023-5745524e-6953-4a3a-93af-776a47cb0a1e.html

Con O anche No abbiamo fatto il nostro piccolo, sia per costruire relazioni che per salvare vite: alla fine un risultato c’è stato.

«Forse la china che sta prendendo la situazione – scrive Verdelli – non ci angoscia come invece dovrebbe. E l’aspetto più allarmante è che a fronte della crescita esponenziale di morti, profughi, razzi e massacri, e con la prospettiva del peggio, fermamente perseguito per buone o cattivissime intenzioni, nessuno sembra in grado di farci niente.

Ci sono 56 conflitti attivi al momento nel mondo, il numero più alto dalla fine della Seconda guerra mondiale: 80 anni durante i quali si è di molto affievolita la consapevolezza della sciagura del periodo 1939-1945, consapevolezza che ha portato alla nascita delle democrazie in Occidente, dell’Onu («Possono diventarne membri tutti gli Stati amanti della pace») e di ogni altro sistema frenante che scongiurasse altre corse verso l’abisso. Secondo l’Institute for Economics&Peace, i decessi per questi conflitti in atto sarebbero oltre 160 mila, di cui quasi tre quarti tra Ucraina (83 mila) e Gaza (almeno 33 mila, aprile 2024). E il contatore sale, inarrestabile, nonostante i tentativi di arrivare almeno a qualche tregua. Ma invece di cessare, il fuoco aumenta, gli incendi si estendono soprattutto in Medio Oriente, con l’apertura da parte di Israele del fronte con il Libano e la tensione sempre più alta con l’Iran, in una spirale che minaccia di travolgere non soltanto gli Stati interessati. C’è chi soffia su quei fuochi nella prospettiva che dal disordine esca un nuovo e diverso ordine mondiale (Cina, Russia, l’Iran stesso, burattinaio di Hamas, Hezbollah, Houti), e chi i fuochi prova vanamente, se non a spegnerli, almeno a contenerli.

È passato un anno dalla brutalità della strage scatenante del 7 ottobre, 1200 vittime di Hamas, 250 ostaggi, di cui soltanto 96 forse ancora vivi da qualche parte della Striscia: per accelerare la corsa alla voragine, la Guida suprema di Teheran Ali Khamenei ha appena definito il 7 ottobre “un atto legittimo”.

Sono passati 956 giorni (24 febbraio 2022) da quando la Russia ha cominciato a invadere l’Ucraina. La furia dell’aggressione non si placa come dimostra, efferatezza tra tante, la recente fucilazione di 16 soldati di Kiev dopo che si erano arresi. Già nel marzo 2023 la Corte penale dell’Aia aveva emesso un mandato di arresto per il presidente Putin, accusato di essere responsabile dei crimini delle sue truppe in Ucraina, tra cui la deportazione di oltre 16 mila bambini. Ribadendo la necessità di quella decisione, Karim Khan, il procuratore che l’aveva firmata, rimarcava quanto fosse cruciale la cooperazione internazionale ai fini dell’esecutività di quel mandato, ricordando i processi di Norimberga e al leader serbo Milosevic. Risposta del Cremlino: “Carta igienica”».

Verdelli conclude così: «Il progressivo svuotamento di credibilità degli organismi internazionali, la ridotta efficacia reale delle loro decisioni, l’incapacità manifesta di ottenere un qualche risultato nei loro tentativi di mediazione o di rispetto della legalità, sono il segno di una decadenza visibile e percepita. Corrosi al loro interno dall’insorgere di nazionalismi rampanti, stretti nella morsa di due blocchi ormai decisi a contrapporsi per il predominio del pianeta, i grandi garanti, chiamati a impedire il ritorno al buco nero già sperimentato nel secolo scorso, sono di fatto fuori dai giochi. Ed è un errore grave non preoccuparsi per questa evidenza, questa impotenza. Disimparare la pace ha costi incalcolabili».

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