Wed Feb 2023 - 10 32

"Arturo Paoli e l'Argentina «patria del cuore»" di Marco Roncalli

Written by AngeliPress

Marco Roncalli, saggista, ha al suo attivo una ventina di volumi, dedicati alla storia della Chiesa e alla cultura del Novecento, in occasione della pubblicazione dell’epistolario 1960-1969, ricorda sul quotidiano "Avvenire" il sacerdote che lavorò per i bisognosi in Europa, America Latina e Africa.

Arturo Paoli, sacerdote e missionario dei Piccoli fratelli del Vangelo, predicatore e scrittore che ha anticipato e praticato la teologia della liberazione, muore a Lucca, sua città di origine, nel 2015 a centodue anni dopo aver trascorso gran parte della sua vita in giro per l’Europa, in America Latina, fra Argentina, Cile, Perù, Venezuela, Brasile…divenendo un testimone degli eventi più importanti del 900.

Il periodo dal 1960 al 1969 viene raccontato grazie a 143 lettere inedite raccolte sotto il titolo Approdo in America Latina (Morcelliana), un epistolario, custodito presso il Fondo Documentazione Arturo Paoli di Lucca, che vede circa una ventina di corrispondenti ai quali il sacerdote era legato da un rapporto di amicizia.

Tra queste: Umberto Allegretti; Piero Gribaudi; Gabriella Roncoroni Christeller; Giovanni Villani; Cesare Massa; Gigi Rey…ma troviamo anche missive inviate a Giovanni Battista Montini, Roger Schutz e Giorgio la Pira.

Il libro, a cura di Silvia Scatena, storica, va a inquadrare la temperie politica ed ecclesiale dell’Argentina di allora tenendo comunque in primo piano il percorso da missionario del religioso, un cammino che “si snoda” dice Rancalli “nel quadro di una Chiesa in cui gli intenti di cristianizzazione favoriranno «l’acutizzazione della crisi corporativa, l’emergere di una nuova sociabilità contestataria e l’avvicinamento al peronismo di settori del clero e della militanza cattolica»”, ma anche una società, “che vive la transizione dalla «democrazia sotto tutela negli anni del desarrollismo » alla «modernizzazione autoritaria e conservatrice » del Generale Ongania, «preludio del ritorno a un regime costituzionale presto dilaniato dai conflitti interni al justicialismo ». Ed è proprio questa società dalla struttura «destinata a una crisi profonda»”.

Paoli, nelle lettere, è consapevole “«da una parte a un’ispirazione del Signore e dall’altra a un’offerta della storia»”. A seguire avrebbe descritto il posto del suo "apprendistato dell’abbandono" come il "luogo dove meglio avrei vissuto la mia fede in Gesù signore della storia".

«Caro La Pira, la mia vita è per la pace»

Riportiamo a seguire la lettera da Buenos Aires del 12 gennaio 1968 in cui don Paoli si confida all’amico e maestro in Italia.

«Carissimo Giorgio, […] Come stai? Immagino che starai lavorando, studiando e pensando, e soffrendo per tutto quello che sta avvenendo nel mondo. Nonostante tutti gli inviti del Papa, tutte le marce e tutto il lavoro che si sta facendo, la pace nel mondo pare sempre più lontana: e questo è un pensiero che ci tormenta tutti come cristiani. E forse ci tormenta troppo poco, perché se soffrissimo veramente nel nostro cuore e nella nostra carne il problema della pace, credo che troveremmo prima di tutto la preghiera efficace, poi il grido, la protesta, la voce per implorare anche dagli uomini di cattiva volontà la pace. Io cerco di lavorare come posso, nel mio piccolo angolo sperduto nel mondo, per costruire una piccola cellula di pace fra i miei boscaioli. Anche se è una piccola cellula nell’organismo immenso del mondo, penso che possa essere una specie di implorazione essenziale e di invito silenzioso alla pace. Lavoro alla pace non tanto diffondendo l’idea, quanto realizzando le premesse economiche, psicologiche, spirituali di questa pace. Debbo riconoscere che a Fortín Olmos, nonostante il sacrificio del calore del luogo disagiato e tutte le difficoltà […], mi pare di essere più radicato nel mondo e nell’umanità: perché faccio qualche cosa di reale e di concreto che va aldilà delle parole e dei discorsi. Come sarebbe bello che un giorno tu potessi venire in Argentina […] e vedere con i tuoi occhi quello che stiamo facendo. Sono a 800 chilometri da Buenos Aires, molti per la nostra mentalità europea, pochi per la mentalità latinoamericana […]. Chissà che il Signore ascolti la mia orazione e il mio desiderio. Mi dispiace averti visto tanto fugacemente a Firenze e non aver potuto parlare a lungo con te: sono tanti i problemi che si affollano alla mia mente e alla mia anima; però sono molto sereno e tranquillo. Mi pare di avere una fede abbastanza sicura e cerco di assicurarla tutti i giorni di più nella preghiera e nell’incontro con Dio. Aiutami anche tu che hai avuto tanta parte nella storia della mia formazione cristiana e anche della mia vocazione. Ti ricordi quando ci siamo conosciuti a Firenze […] questo nostro incontro mi è sempre restato vivo e mi ha accompagnato in tutta la vita. Anche se hai avuto prove e batoste e incomprensioni ti resta sempre il ricordo molto caro di aver influito su tanta gioventù e di averla orientata verso il Signore: questa è sempre la cosa più bella che possiamo fare al mondo. E io sono uno che ti raccomanderà al Signore».

Arturo Paoli

Buenos Aires, 12 gennaio 1968


https://www.avvenire.it/agora/pagine/paoli-e-largentina-patria-del-cuore

pubblicato in Spiritualità

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