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venerdì, 26 Aprile, 2024

fondato e diretto da Paola Severini Melograni

AUGUSTA

Mai permissività o cedevolezze dinanzi a pratiche, nel privato o nel pubblico, di contenzione cieca, automatizzata: stringhe, fibbie, ceppi, legacci, ferraglie.

Una donna di temperamento, chiamiamola Augusta (quasi il nome vero), aveva avuto un giorno la sfortuna di insultare, in una città del Sud Italia, un pubblico ufficiale: si era ritrovata dapprima in guardina, poi chissà come in un manicomio giudiziario. Non era d’accordo con questa soluzione, nessuno l’ascoltava però; il suo disappunto assumeva a volte toni esuberanti.

Si avvicinava il periodo natalizio, molti fra i sanitari avevano deciso di non trascorrere dentro l’ospedale il 25 dicembre. Anche Augusta sentiva il Natale, rivoleva la sua libertà: di qui la decisione del Direttore dell’Istituto, nell’andarsene a casa, di firmare in anticipo  (prassi illegale)  gli ”statini” che permettevano agli operatori di assoggettare i pazienti, in caso di necessità, a un trattamento sanitario obbligatorio.

Poche ore più tardi, Augusta aveva in effetti “dato in escandescenze”, era stata legata subito al pagliericcio,  bella stretta. Dopo tre giorni che era lì, forse per protestare, o per colpa magari di una sigaretta, addormentandosi, l’infelice aveva finito per appiccare fuoco al letto; l’incendio si era diffuso, Augusta era morta soffocata. Si era aperto un processo, concluso alfine con la condanna penale del direttore; l’uomo, che di suo non era proprio un aguzzino, preso da rimorsi per l’accaduto, era stato trovato alfine impiccato.

Ero d’accordo con chi proponeva, dieci anni dopo, di vedere in ”Augusta martire” il simbolo permanente di errori da non ripetere.

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