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giovedì, 28 Marzo, 2024

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LEONE EFRATI, OGNI GIORNO un articolo di Alessio Lucciarini

Trastevere e le sue case che si fanno l’occhiolino. Piante dai colori accesi nei vicoli, compensano la bellezza di una fontanella o di una bottega. Mercati pieni di vita, oggi come ieri. Trastevere punto d’incontro di storie di uomini valorosi. Storie piene di umanita’ e coraggio come quelle accadute durante l’occupazione nazifascista.

Il passato affiora nelle memorie tramandate da generazioni attraverso gesti, episodi e  oggetti che improvvisamente riemergono nei modi piu’ diversi.

Questo e’ il caso di una valigetta risalente al periodo della seconda guerra mondiale, ritrovata all’interno della palestra Audace, qualche tempo fa’. E’ il “sor Emilio” a ritrovarla in un vecchio magazzino pieno di cianfrusaglie.  All’interno di questa valigetta impolverata, poche cose: un paio di guantoni, dei scarpini, un caschetto e in una cucitura nel bordo, delle iniziali:  L.E.

Ironia della sorte, e’ proprio Emilio ad identificare il proprietario. Lui sapeva di chi era, non aveva dubbi. Non puoi averne quando ti alleni insieme giorno dopo giorno. Tra una corda ed un allenamento di sparring, finisci per conoscere pregi, difetti, debolezze e aspirazioni di chi ha le tue stesse motivazioni.

Emilio capi’ subito che la la valigia apparteneva al suo amico Lelletto. Lelletto, ovvero Leone Efrati, fu un pugile italiano di religione ebraica, classe 1915. Si allenava all’Audace insieme a lui, pesava sui 57kg.  Era caparbio e talentuoso e in poco tempo scalo’ le classifiche mondiali della sua categoria di peso. Il suo modo di boxare suscito’ interesse anche oltreoceano. Nel 1938 ebbe la sua grande occasione al Coliseum di Chicago, contro il campione Leo Rodak. Il match sulle 10 riprese risulto’ incerto, ma i giudici decretarono Rodak vincente. Di parere contrario i 5000 presenti che fischiarono sonoramente il verdetto. Rimase a combattere negli Stati Uniti, ben visto dal pubblico locale. Ma l’eco delle leggi razziali (14 luglio 1938) lo raggiunse, portandolo ad una drastica decisione. Decise di abbandonare tutto e tornare a casa, malgrado gli inviti a restare da parte degli americani. Lui sentiva che non c’era tempo, che doveva raggiungere sua moglie e i suoi figli.

Torno’ a Roma, ma poco dopo fu richiamato in America per onorare il contratto che aveva firmato. Fece qualche match per dovere, con la testa a quel che stava succedendo in Italia.

Appena ebbe la possibilita’, raggiuse nuovamente la sua famiglia a Roma, dove ben presto gli venne revocata la possibilita’ di combattere.  Fu costretto a vivere in clandestinita’ per non essere preso. Una mattina decise di portare suo figlio di 7 anni Romolo a prendere un gelato. Purtoppo pero’ fu riconosciuto da due delatori che lo consegnarono ai tedeschi insieme al figlio.

Furono entrambi trattenuti al carcere di Regina Coeli, prima di essere trasferiti a Fossoli. Mentre il camion che li avrebbe trasferiti era in procinto di partire per Fossoli, il piccolo Romolo riusci’ a scendere e scappare dal camion che lo trasportava, grazie all’aiuto di tutti i prigionieri.

Portato ad Auschwitz  e poi ad Ebensee con il fratello, Leone fu  riconosciuto come pugile dai tedeschi. Per loro diletto fu costretto a battersi con altri prigionieri, spesso di peso maggiore del suo.

Piaceva ai nazisti organizzare questi incontri, un passatempo sul quale scommettere e divertirsi. Non c’erano regole, vinceva chi restava in piedi. Finche’ restava in piedi, poteva sognare di riabbracciare in qualche modo la sua famiglia. Forse era questa la sua forza in quel delirio, mentre era costretto a lottare.

Il suo amore per la sua famiglia e quel senso di protezione che sentiva come un obbligo, si rivelo’ fatale il giorno in cui venne a sapere che suo fratello era stato vittima di un pestaggio a sangue da parte di alcuni kapo’ .  Preso dalla rabbia, ando’ a cercare gli aguzzini e nacque una violenta colluttazione con diversi soldati tedeschi. Leone si difese strenuamente prima di soccombere e di finire a terra tramortito.  La vita terrena di Leone Efrati si spense il 17 aprile del 1945, (per quanto ci e’ dato sapere) a 20 giorni dalla liberazione del campo, da parte della divisione corazzata americana, che avrebbe scacciato definitivamente i nazisti da Ebensee.

Il valore di Leone e il suo coraggio, sono l’eredita’ piu’ importante che ci ha lasciato. Questo sentimento di amore che sconfigge ogni tipo di paura, e’ custodito orgogliosamente dalla sua famiglia, dalla comunita’ ebraica e dal pugilato italiano.

Nota a margine:

E’ in corso di pubblicazione il romanzo molto atteso su Leone Efrati intitolato “il pugno e il cuore” di Antonello Capurso

 

Ringrazio al Presidente Cesare Venturini per l’aiuto alla Palestra Audace.

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