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venerdì, 26 Aprile, 2024

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Maria Rita Parsi su caso Saman Abbas

Per ripartorire il mondo, per liberarlo dalle millenarie, crudeli, sempre reiterate infamie e vessazioni, dalle quali è oppresso e con le quali opprime, in primis, le donne e i bambini, si potrebbe rinunciare all’ipotesi che Eva sia nata da una costola di Adamo. Mia madre, provocatoriamente, ebbe a dire: “Per questo la donna è così resistente!”. Personalmente, credo che resistere sia stata la vera, formidabile capacità delle donne. O, almeno, della stragrande maggioranza di loro. E, certamente, delle “donne amiche delle donne” che hanno dovuto combattere, anche e soprattutto, per contrastare la vergognosa, distruttiva ascesa del maschilismo, appreso e sotteso, delle “donne nemiche delle donne”. Alle quali spetta un posto di prim’ordine quando si tratta di “dare corpo” al potere distruttivo che ammala tanti uomini, in ogni umana collettività. Uomini che anche quelle donne possono aver partorito e ai quali, da madri e non, hanno dato la garanzia di potersi massacrare a vicenda e di massacrarle, per sfuggire ad una castrazione, ad una dipendenza, ad una sudditanza dalla quale essi credono di potersi emancipare, anzitutto e soprattutto, opprimendo, emarginando, punendo tutte quelle donne che, ad un simile destino, con coraggio e determinazione, si ribellano.
Così, oggi, ricercando ,ancora una volta, il corpo di una ragazza di 18 anni, svanita nel nulla, Saman Abbas, noi, in verità, ricerchiamo il corpo di tutte le donne sacrificate a questo inaccettabile, violento, disgustoso progetto criminale. E dico “noi”, per noi intendendo famiglie, educatori, società civili, alle quali disgusta “la sindrome della poltrona”, metaforicamente espressa dalla mancanza di rispetto nei confronti di Ursula Von Der Leyen. Lieve cosa, ma simbolica, se si pensa e si decifra tutto il resto. Ovvero, se si pensa ai femminicidi, giustizia sommaria e tribale nei confronti delle donne, ad uso di quegli impotenti che pretendono di qualificarsi “uomini”, allorquando la maschera del “falso sé” che indossano, cade e mostra le ferite del non esserlo mai stati. E, infatti, come definire uomini, quei padri, quei fratelli, quegli zii che decidono di uccidere le proprie figlie, sorelle, nipoti, magari strangolandole come e’ stato fatto per “giustiziare” Sana Cheema i cui parenti, assolti in Pakistan dal loro delitto, oggi si sono resi irreperibili al mondo? Come giustificarli se non rinunciando a guardare alle donne – non a tutte, s’intende! – come alle creature umane più coraggiosamente “resilienti” della terra?
E come non suggerire a quelle donne che, per disperazione ed anche per tutelare i propri figli, decidono di chiedere aiuto alla legge, all’assistenza sociale, alle associazioni che le difendono e le ospitano in case protette ma, poi, ci ripensano e, come Saman Abbas, tornano a casa, da mariti, famigliari, parenti, rendendosi “complici” nel favorire la follia omicida di quei miserabili, sottosviluppati, falsamente credenti. Poiché nessun vero Dio, nel nome della fede ebraica, cristiana, islamica, buddhista, potrebbe mai sostenere e, anzi, “dettare” l’attuazione di simili vergogne! E, ancora, perché nessun vero Dio potrebbe mai consentire a che venga definito “amore” quello in cui cercano, “irresponsabilmente”, di credere, le donne che si “riconsegnano” ai loro carnefici. Scambiando la schiavitù per l’ottenimento di un consenso che, per quei criminali, diventa soltanto l’alibi che consente loro di condannarle a morte.
Prof.ssa Maria Rita Parsi
Psicoterapeuta e Presidente Fondazione Movimento Bambino

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