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venerdì, 29 Marzo, 2024

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Maria Rita Parsi su Covid e gaming online

La pandemica Cina, dopo aver infettato il pianeta con il Covid-19, ed essersi poi impegnata con le altre nazioni a contenere e arginare, ma non ancora a sconfiggere, il virus, è ora in battaglia con un’altra pandemia: quella della dipendenza da videogames. Secondo la società di consulenza Niko Partners, nel gigante asiatico i giocatori saranno, entro il 2025, 781 milioni; buona parte dei quali giovani o giovanissimi, visto che l’età media nel Paese è di 38,8 anni e che la fascia 0-14 anni costituisce il 17,95% della popolazione. Va da sé che il giro d’affari è enorme (ci si sta avvicinando gradualmente ai 50 miliardi di dollari di fatturato), e che la Cina sta soppiantando Giappone e Stati Uniti come leader del settore su scala globale, attraverso le sue aziende di gaming, Tencent e NetEase in prima linea. Una leadership tecnologica e commerciale che potrebbe essere propedeutica ad una “colonizzazione integrale”, ovvero “utilizzare i videogames per esportare cultura”, come ha osservato il tech guru Abishur Prakash.

Se il mercato estero è spesso una prateria senza regole, all’interno dei suoi confini la Cina ha imposto vincoli assai severi per i minori di 18 anni che, sulla scorta di una normativa in vigore dal primo settembre, possono accedere ai giochi online solo tre ore a settimana: venerdì, sabato e domenica dalle 20 alle 21. E possono farlo solo utilizzando i loro veri nomi e fornendo un documenti di identità. La crociata del partito comunista cinese contro l’abuso, non certo l’uso, dei videogiochi è così violenta da arrivare a definirli “oppio spirituale”.

All’approccio ultra rigido di Pechino, fatto di divieti e controlli implacabili, si contrappone quello super soft dell’Italia, dove tutto sembra lasciato al caso o, più precisamente, all’impreparazione degli adulti. Da parte del legislatore non c’è alcuna proposta concreta di educazione al virtuale virtuoso, nelle scuole (per gli insegnanti prima ancora che per gli studenti) e nelle famiglie, tema che con la Fondazione Movimento Bambino Onlus porto all’attenzione delle realtà istituzionali, purtroppo inascoltata, già da molti anni. I ragazzini hanno notevoli competenze digitali che utilizzano certo per informarsi, divertirsi, confrontarsi e connettersi al mondo, reale o virtuale, ma anche per essere vittime e carnefici di cyberbullismo o diventare recettori e talvolta emulatori delle scene di violenza dei videogiochi. Gli adulti hanno allora il dovere di formarsi digitalmente e, sulla base delle competenze acquisite, operare quei controlli necessari a scongiurare che, per i più piccoli, il videogioco passi da svago a dipendenza. La Cina ha innescato la pandemia, la pandemia ha prodotto il lockdown con l’inevitabile corollario di web, social e videogame addiction. Il rischio è la moltiplicazione degli hikikomori, ragazzini chiusi in camera che comunicano con l’esterno, declinato esclusivamente in chiave virtuale, attraverso uno schermo.

I nuovi videogiochi, peraltro, si caratterizzano per la presenza di un sistema di messaggeria istantanea, mezzo privilegiato dai predatori del web per adescare, irretire, ricattare, incontrare, con conseguenze spesso tragiche, bambini e adolescenti non in grado di distinguere fra trappole immaginarie e pericoli reali.

Ed in fondo, l’assenza di politiche serie ed organiche su un fenomeno tanto grave quanto diffuso, è lo specchio di un Paese, il nostro, che sempre va a rimorchio del resto del mondo (ma stavolta seguire la Cina non sarebbe poi un male) e che, come cantava De André, quando il caso di cronaca diventa mediatico “si indigna, si impegna, poi getta la spugna con gran dignità”. Occorre invece recuperare quella dignità, ed esercitarla ogni giorno. Sensibilizzare, monitorare. Riunire un osservatorio di esperti, del quale dovranno far parte anche i ragazzi, e consegnare un piano di lavoro articolato al legislatore. Attenzione: il burnout post Covid-19 è pronto a deflagrare e la digital addiction ne sarà componente essenziale. Non lasciamoci trovare, almeno stavolta, impreparati.

Maria Rita Parsi

Psicoterapeuta e presidente Movimento Bambino

 

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