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giovedì, 25 Aprile, 2024

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Maria Rita Parsi su media e violenza minorile

Già vent’anni fa, la Professoressa Gambardella dell’Università Federico II di Napoli sottolineava che essere costantemente esposti alla visione di atti violenti può indurre la tendenza a voler ripetere quelle azioni. Il rischio investe soprattutto i bambini, che assorbono (“come spugne” si dice nel gergo comune), informazioni sociali, culturali, affettive, comportamentali destinate a divenire parte integrante del proprio essere. Tale sovraccarico di messaggi e di esempi violenti, già presente decenni addietro, si palesa al giorno d’oggi come una autentica emergenza. Lo affermo sulla base del mio lavoro di piscoterapeuta e psicopedagogista, che mi porta sempre più spesso ad interfacciarmi con minori violenti, ed anche sulla scorta delle esperienze maturate e maturande con la Fondazione Movimento Bambino Onlus che presiedo, attraverso numerosi progetti dedicati all’infanzia e all’adolescenza. Uno di questi lo stiamo portando avanti con il Cnr-Irpps del prof. Tintori e riguarda proprio l’impatto che serie tv, app per smartphone, videogiochi, websites e social network producono in termini di devianza sociale sui minori. Ogni giorno sono milioni – acquisibili attraverso tutti i device che la tecnologia ci offre – le scene di fiction, ma ahimé anche documenti video di vita reale, messe a disposizione della curiosità di bambini e ragazzi. Si parla di frequente, e a ragione, delle conseguenze drammatiche della violenza assistita, ovvero l’esposizione dei minori a scene di tensione e violenza, verbale e fisica, all’interno delle famiglie. Ma, a ben vedere, è “violenza assistita” anche la ricezione dapprima passiva e, successivamente ed eventualmente, messa in atto come emulazione, di tagli, ferite, aggressioni, uccisioni, stupri, mutilazioni, in onda quotidianamente. E non c’è parental control né fascia protetta che tenga! Sia perché la violenza in tv va ormai in onda h24, sia perché alla televisione i più giovani preferiscono il web e i social, dove qualsivoglia ipotesi di moderazione puntuale e costante è strutturalmente inapplicabile. Si sviluppa così un nuovo codice comunicativo, nel quale tirare fuori una pistola e sparare è un atto talmente ripetuto da diventare tutto sommato usuale. L’ambito è diverso, ma il meccanismo è lo stesso che si è sviluppato col turpiloquio, ormai talmente diffuso ad ogni livello, anche in ambiti considerati, a torto o ragione, come “istituzionali”, da essersi trasformato da eccezione volgare a norma codificata. Ovviamente, la questione assume contorni più inquietanti quando a farsi portatori di violenza e sopraffazioni sono, come nel caso recentemente venuto alla luce del carcere di Santa Maria Capua Vetere, rappresentanti delle forze dell’ordine, ovvero proprio quelle autorità autorevoli che attraverso il loro esempio dovrebbero fare da guida alle nuove generazioni. Credo che sia importante, in questo frangente, far capire a bambini e ragazzi che l’essere umano è fallibile e che ad un reato deve corrispondere una pena adeguata. Allo stesso tempo va sottolineato come quei poliziotti a loro volta sopraesposti, affaticati, imprigionati quotidianamente in compagnia dei detenuti, rappresentino una eccezione, ci si augura molto limitata, e che è solo attraverso il rispetto della legalità che i cittadini, e di conseguenza una società sana, possono essere formati. Non a caso, nel nostro progetto con il Cnr-Irpps, proponiamo ai minori tutti quegli esempi positivi, uomini delle istituzioni e cittadini comuni, che possono e, anzi, debbono prendere il posto della feccia di Gomorra o Suburra. Perché c’è del buono, c’è del bello, c’è del giusto nel rispetto della legge, degli altri, e prima, ancora, di noi stessi.

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Maria Rita Parsi

Psicoterapeuta e Presidente Movimento Bambino

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