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venerdì, 19 Aprile, 2024

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Persone con disabilità: il lavoro che non c’è. Articolo di Pietro Barbieri

Pietro V. Barbieri presidente Gruppo Studi Disabilità e vicepresidente Diversity Europe Cese, già Portavoce nazionale Forum Terzo Settore, già Coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con Disabilita 

 

Non si può dire che l’Italia sottovaluti il tema dell’inclusione sociale delle persone con disabilita. Il nostro Paese, infatti, si è dotato di importanti normative per incentivarne l’inserimento lavorativo. Si comincia nel 1968 con la legge 482, approdando nel 99 con la legge 68. In mezzo e dopo, molti altri dispositivi sono stati adottati, segno certo che vi sia un’attenzione istituzionale, politica e sociale attorno al tema. L’Italia è tra i pochi paesi europei che per superare lo stigma dell’improduttività, e della conseguente discriminazione, si è dotato di aliquote d’obbligo in aziende pubbliche e private sopra i 15 dipendenti. L’Italia è inoltre tra i pochi Paesi che hanno adottato strumenti di mediazione tra la domanda e l’offerta adeguati al bisogno di persone con disabilità e del loro inserimento lavorativo produttivo, in una logica win win che quindi soddisfi il lavoratore e il datore di lavoro.

Certo, alcune misure hanno cercato di depotenziare la portata delle norme principali. È altrettanto vero che quei dispositivi devono essere applicati dalle regioni, ognuna delle quali ha addirittura cambiato lo stesso nome del servizio di integrazione lavorativa, un indizio di estrema disomogeneità nell’attuazione della norma.

Lo stigma dell’improduttività poi non è mai completamente scomparso. L’impatto della pandemia avrà un effetto temiamo disastroso una volta superato il divieto del licenziamento. Ne abbiamo ampiamente scritto in un articolo https://welforum.it/lavoratori-con-disabilita-unespulsione-annunciata/?highlight=barbieri.

C’è una novità: nei giorni scorsi è stato depositato l’atto Relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 68/99. È ormai difficile discutere della tempestività della Relazione, nonché del mantenimento degli obblighi in materia. L’ultimo anno analizzato è il 2018. Siamo nel 2021. È utile invece concentrarsi sul merito.

La relazione è di cinque pagine. Sui social media, quando un post parla di per sé e viene riproposto, l’autore ultimo spesso usa un concetto: “post muto” ed anche “sipario”. Ecco, varrebbe la pena di utilizzare questa terminologia piuttosto che esprimere commenti. C’è da aggiungere solo una questione: come mai siamo passati da 30 40 pagina a cinque? Cosa è accaduto per mostrare un interesse così scarso nella raccolta e nella spiegazione dei dati sull’inserimento lavorativo delle persone con disabilità? Ciò che accaduto non poteva accadere in passato, dato che c’era una spinta da parte delle organizzazioni sociali di rappresentanza delle persone con disabilità e della famiglia, del mondo sindacale e persino di quell’aziendale, nonostante quest’ultimo sia quello più refrattario agli obblighi derivanti dalle norme.

Le cinque pagine ci offrono molte occasioni di riflessione e sia per ciò che li è contenuto ma soprattutto per ciò che non c’è.

  1. Il primo dato che incontriamo è quello della crescita del numero di iscritti alle liste di collocamento. Si parla essenzialmente delle persone disoccupate. In 12 anni si è passati da 700.000 a quasi 1 milione. Il trend non si è quasi mai abbassato. Non c’è il dato relativo agli inoccupati, ovvero coloro che non cercano neanche più il lavoro.
  1. I disoccupati con disabilità sono in grandissima parte nelle regioni del sud, presumibilmente per un mercato del lavoro anemico e per la mancanza di servizi adeguati di inserimento lavorativo. L’uso del condizionale è d’obbligo dato che non c’è un raffronto con il dato dell’inserimento lavorativo ordinario delle persone non disabili, tantomeno un quadro quali quantitativo sui servizi pubblici di inserimento.
  1. Nonostante tutto, gli inserimenti lavorativi aumentano. Il dato più basso è quello del 2013, anno che si può considerare conclusivo della crisi economica 2008-10, i cui effetti in Italia si sono visti con 2 anni di ritardo. Sono stati circa 21 mila e nel 2018 si arriva a circa 46.000. Aumentano essenzialmente nel Nord, anche se il dato riportato è assai generico. La contraddizione tra l’aumento dei disoccupati e l’aumento degli inserimenti non trova alcuna analisi nella relazione. È difficile anche da supporre senza un quadro di dati più completo.
  1. È interessante il dato di divaricazione tra gli avviamenti al lavoro operato dalle strutture pubbliche, e le assunzioni effettive di persone con disabilita. Nel 2018 ultimo anno di analisi della relazione, e ci sono quasi 20.000 lavoratori assunti che non sono stati avviati in base alla filiera di servizi previsti dalla legge 68/99. Anche qui non c’è nessuna analisi in merito. La divaricazione parte nel 2013. Le questioni riportate fanno risalire le motivazioni addotte dalla Relazione a 2016. Ciò che si può dire di certo è che il mercato del lavoro si è mosso a prescindere dalla capacità di azione dei servizi lavorativi pubblici.
  1. C’è un dato interessante. Per la prima volta nella storia c’è un numero che riguarda gli occupati con disabilità. Grazie alla legge 6 agosto 2008 n. 133 è stato introdotto il prospetto informativo disabili che le aziende sono costrette a dichiarare. Si tratta di circa 360.000 persone. Al contempo non è indicato se il dato si riferisca a una platea di datori di lavoro sufficientemente credibile oppure se ci sono state delle defaillance nella raccolta. Non è una questione di lana caprina: se così stanno le cose, ci attesteremmo con un tasso di disoccupazione pari al 73%. Un tasso di disoccupazione tra i più alti dell’Unione Europea non ostante aliquota d’obbligo e servizi per l’impiego tra i più avanzati.

Una Relazione al Parlamento lacunosa e con tanti debiti informativi. Nei fatti una denuncia della difficoltà anche solo di ragionare di autentica inclusione sociale delle persone con disabilita. È un dato che si riflette anche nei progetti del Recovery e Resilience Fund. Proprio da questo dobbiamo ripartire per ritornare a dotarsi di orizzonte di senso, l’inclusione possibile. Ricordiamo che l’Unione Europea approverà i progetti degli Stati su tre indicatori principali: innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale e inclusività.

 

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