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venerdì, 29 Marzo, 2024

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Una riflessione sullo spettacolo Misericordia di Emma Dante . Articolo di Marzia Masiello

Arturo della Misericordia di Emma Dante, è una insostenibile leggera energia vitale che lega il cielo con la terra. Potrebbe essere per tutti lo scemo del villaggio. Si muove come un angelo. Si slega, si snoda si disarticola, si scioglie, si dirada, si eleva, guizza, scompiglia, scivola, si annida..  In ogni trancio di corpo, epilettico, attraverso il movimento, fermo, sgambettante o danzante, diventa sillaba, suono e verbo … 

Il ragazzo è nato ritardato per le botte che la mamma Lucia ha preso,  perdendo la vita e partorendolo prematuro sotto i pugni feroci della bestia, il falegname che l’ha ingravidata.

Di Arturo si prendono cura tre femmine:  Nuzza, Anna e Bettina. Di giorno lavorano i ferri. Di notte si vendono, aggiungendo alla sozzura della casa, fatta di tozzi di pane e di miseria, la vecchia baldraccheria da lupanare  del sesso esibito, sfacciato, grasso, secco, ammucchiato.

Nei maleversi delle tre madri, il dialetto palermitano mi arriva mescolato a reminiscenze pugliesi. Le tre  grazie mi ricordano tanto le brutte lucciole di giorno davanti ai container in mezzo agli uliveti nei pressi delle Murge.

Ciuciulìano in un divertente grammelot che diventa una giocosa altalena in mezzo alla bruttezza avida della quotidianità. Si insultano e si rinfacciano le piccole ruberie di brandelli di stoffa, molliche, sottilette. Si accusano di non aver protetto Lucia. Anna e Nuzza sbattono in faccia a Bettina il panino svuotato da lei, secondo loro, per condannarla ad ingozzarsi del suo parassitismo.

Nuzza è la razionalità, colei che non avrebbe fatto nascere Arturo se avesse potuto decidere. Nel suo muoversi sul palcoscenico quasi non esiste eppure è essenziale come la luce che tutto illumina o spegne.

Bettina: l’arraffona che rovista persino in mezzo alla spazzatura, non solo rivela senso pratico ma anche grandissima generosità e altruismo. 

Anna. Per rabbia quando parla urla e quasi sputa dal ventre bile e sprazzi di tenerezza. In loro la sintesi di una terrena trinità- fatta di oscenità e gentilezza, di rabbia e candore, di dolore e compassione. Di amore e maternità, accogliente e dolorosa.

Le tre decidono che è arrivato il momento di affidare Arturo a un istituto, un convitto, per una speranza di vita migliore. In paese passa la banda che Arturo ama tanto. È il momento del distacco. 

Arturo pronuncia una – sola – parola in tutta la comica tragica esperienza dell’atto unico, di cui io spettatrice sono parte integrante e non indifferente. Respiro a fatica, rido, piango, sto seduta in platea sulle spine. Apprensiva. Non ha molta importanza ciò che sul palco si dice e si proferisce a parole. Qualcosa accade e ti cambia profondamente dentro. 

Arturo dice una sola parola in tutto lo spettacolo – la dice andando via e salutando le donne: Arturo alzando la mano che fa ciao dice “Mamma”.

Una – sola- parola 

Mamma – è il linguaggio della Misericordia.

 

Manuela Lo Sicco,  Leonarda Saffi e Italia Carroccio sono le mamme adottive che di fronte al muto e ipercinetico Arturo ci prendono a pugni e ci accarezzano, parlandoci di femminicidio, di abbandono, di povertà, di maternità del cuore. E lo fanno con il linguaggio di tutto il corpo. 

Il corpo del sipario, i corpi di tutti noi spettatori, i corpi degli oggetti, i loro corpi sfacciati di notte, miserabili di giorno, il corpo nudo del palcoscenico.

 

Mi alzo ed esco dall’Argentina, turbata: questa favola al contrario  di Arturo/Pinocchio che è stato concepito da un Geppetto violento… mi fa pensare che, andando via da tanta “monnezza democratica”, il picciutteddu possa incontrare Mangiafuoco o il gatto e la volpe che lo cacceranno nei guai. Le sue fate madrine hanno deciso … il solo atto buono che possano fare è strapparselo dal cuore. Lasciarlo andare. 

 

E ora che lo spettacolo è finito che ne sarà di lui per il mondo?

 

Ho la fortuna, rincasando da un’amica antica e preziosa,  di parlarne con Bettina. Italia Carroccio è ospite da lei. È trascorso qualche giorno da allora. Sono state ore preziose di scambio di umanità con Italia che pazientemente ha ascoltato tutti questi miei pensieri a voce alta. 

 

Prima di entrare a teatro avevo incontrato al Pantheon Sergio e Vilma, una bellissima famiglia adottiva del profondo nord… il caso che non è un caso.

Avevo condiviso con loro la bellezza di andare allo spettacolo, per nutrire l’animo un po’ provato da tutto l’abbandono che ogni giorno ci impegniamo, nonostante la distanza geografica, insieme,  a contrastare, con immense difficoltà legate alla cultura, alla politica, all’economia.

Ero evidentemente inconsapevole dei temi che si sarebbero affrontati. Avevo accettato al buio e di istinto la proposta della mia cara amica che mi ha ospitata e che mi aveva caldamente consigliato di andare e … partecipare. 

E ho fatto bene. E il caso non è un caso. 

 

Marzia Masiello 

 

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