Pietro V. Barbieri presidente Gruppo Studi Disabilità e vicepresidente Diversity Europe Cese, già Portavoce nazionale Forum Terzo Settore, già Coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con Disabilita
Non si può dire che l’Italia sottovaluti il tema dell’inclusione sociale delle persone con disabilita. Il nostro Paese, infatti, si è dotato di importanti normative per incentivarne l’inserimento lavorativo. Si comincia nel 1968 con la legge 482, approdando nel 99 con la legge 68. In mezzo e dopo, molti altri dispositivi sono stati adottati, segno certo che vi sia un’attenzione istituzionale, politica e sociale attorno al tema. L’Italia è tra i pochi paesi europei che per superare lo stigma dell’improduttività, e della conseguente discriminazione, si è dotato di aliquote d’obbligo in aziende pubbliche e private sopra i 15 dipendenti. L’Italia è inoltre tra i pochi Paesi che hanno adottato strumenti di mediazione tra la domanda e l’offerta adeguati al bisogno di persone con disabilità e del loro inserimento lavorativo produttivo, in una logica win win che quindi soddisfi il lavoratore e il datore di lavoro.
Certo, alcune misure hanno cercato di depotenziare la portata delle norme principali. È altrettanto vero che quei dispositivi devono essere applicati dalle regioni, ognuna delle quali ha addirittura cambiato lo stesso nome del servizio di integrazione lavorativa, un indizio di estrema disomogeneità nell’attuazione della norma.
Lo stigma dell’improduttività poi non è mai completamente scomparso. L’impatto della pandemia avrà un effetto temiamo disastroso una volta superato il divieto del licenziamento. Ne abbiamo ampiamente scritto in un articolo https://welforum.it/lavoratori-con-disabilita-unespulsione-annunciata/?highlight=barbieri.
C’è una novità: nei giorni scorsi è stato depositato l’atto Relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 68/99. È ormai difficile discutere della tempestività della Relazione, nonché del mantenimento degli obblighi in materia. L’ultimo anno analizzato è il 2018. Siamo nel 2021. È utile invece concentrarsi sul merito.
La relazione è di cinque pagine. Sui social media, quando un post parla di per sé e viene riproposto, l’autore ultimo spesso usa un concetto: “post muto” ed anche “sipario”. Ecco, varrebbe la pena di utilizzare questa terminologia piuttosto che esprimere commenti. C’è da aggiungere solo una questione: come mai siamo passati da 30 40 pagina a cinque? Cosa è accaduto per mostrare un interesse così scarso nella raccolta e nella spiegazione dei dati sull’inserimento lavorativo delle persone con disabilità? Ciò che accaduto non poteva accadere in passato, dato che c’era una spinta da parte delle organizzazioni sociali di rappresentanza delle persone con disabilità e della famiglia, del mondo sindacale e persino di quell’aziendale, nonostante quest’ultimo sia quello più refrattario agli obblighi derivanti dalle norme.
Le cinque pagine ci offrono molte occasioni di riflessione e sia per ciò che li è contenuto ma soprattutto per ciò che non c’è.
Una Relazione al Parlamento lacunosa e con tanti debiti informativi. Nei fatti una denuncia della difficoltà anche solo di ragionare di autentica inclusione sociale delle persone con disabilita. È un dato che si riflette anche nei progetti del Recovery e Resilience Fund. Proprio da questo dobbiamo ripartire per ritornare a dotarsi di orizzonte di senso, l’inclusione possibile. Ricordiamo che l’Unione Europea approverà i progetti degli Stati su tre indicatori principali: innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale e inclusività.