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venerdì, 29 Marzo, 2024

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Carcere di San Quintino, Stati Uniti d’America: maxi multa per violazione delle norme di sicurezza anti Covid

Venire a sapere dalla CNN/Ansa di una significativa multa da parte dello Stato della California al carcere di San Quintino negli USA per la violazione delle norme di sicurezza anti Covid, fa davvero riflettere molto.

Negli Stati Uniti d’America, il paese dove vige tuttora la pena di morte, un paese con una storica e consolidata politica giustizialista e securitaria pesante con più detenuti al mondo, lo Stato della California punisce con una multa di 421.880 dollari il carcere forse più famoso al mondo, San Quintino, per aver violato le norme di sicurezza anti Covid; multa che arriva dopo un rapporto dell’Ispettore generale che certifica l’accaduto e soprattutto le responsabilità. Quanto accaduto negli USA ci dovrebbe far riflettere, molto.

Il pensiero e il raffronto non può che correre alla situazione delle carceri del nostro paese, paese avanti nella elaborazione e produzione di normative sul trattamento penale incardinate sul principio del reinserimento sociale del detenuto, ma allo stesso tempo con una capacità di rispetto e applicazione delle norme promulgate assolutamente deficitaria.

La pandemia non ha fatto altro che evidenziare una situazione paradossale preesistente. L’esempio più eclatante è quello di scoprire che di fronte al rischio di diffusione del contagio all’interno degli istituti penali, si sono bloccate tutte le visite e tutti i colloqui. Peccato che le uniche modalità di comunicazione con i propri familiari corrispondevano a una telefonata settimanale. Sapendo, e avendolo codificato in linea di principio, quanto importante sia la cura delle relazioni, a partire da quelle familiari e non solo, si arriva a pensare di utilizzare strumenti di comunicazione da remoto solo a seguito della pandemia.

Un altra questione che la pandemia ha evidenziato è sicuramente la condizione permanente di sovraffollamento con conseguente violazione di tutte le norme igienico sanitarie. A nessuno può sfuggire che se una delle condizioni immediate per contrastare il diffondersi dell’epidemia è il distanziamento e le pratiche di igienizzazione personale e ambientale, il sovraffollamento è non solo una pena aggiuntiva ma è una condizione esplosiva per la diffusione del virus tra i detenuti e il personale, agenti e dipendenti amministrativi. Anche in Italia, si è anche cercato di rimediare a tale situazione limitandosi a travasare “le eccedenze” da un carcere all’altro, altro magari ritenuto al momento più sicuro dal punto vista sanitario. Il che, come accaduto a San Quintino, può determinare un dilagare del contagio e quindi provocare morti.

Per non parlare del ritardo e della lentezza con la quale si sono utilizzate le protezioni individuali e le pratiche per il tracciamento del virus. Mascherine e gel igienizzanti nonché i tamponi sono arrivati con un ritardo ingiustificabile.

Per non parlare della copertura vaccinale della popolazione detenuta e dei dipendenti  degli Istituti di pena. Si è dovuta alzare la voce della Senatrice a vita Liliana Segre per sollecitare il Commissario Arcuri nel considerare le carceri e la loro popolazione come situazioni particolarmente a rischio tanto quanto le RSA per gli anziani. Il che confuta  radicalmente la convinzione, da diversi declamata con un mantra, che proprio il carcere in quanto luogo chiuso è il luogo più sicuro dal punto di vista sanitario: fuori è molto più pericoloso!

Queste semplici riflessioni per dire che se anche nel nostro paese si applicassero le sanzioni che hanno portato negli USA il carcere di San Quintino a pagare una maxi multa, la nostra amministrazione penitenziaria rischierebbe di dover dichiarare il fallimento amministrativo.

Il fallimento che però più dovrebbe realmente preoccupare è l’emergere palese della lontananza  tra ciò che è scritto ed enunciato nelle normative e ciò che è applicato nella realtà e ancor di più il venir meno al dettato costituzionale che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, favorendo il suo reinserimento nella società.

La speranza è che una doverosa e seria riflessione sull’esperienza vissuta nella pandemia e sui  limiti strutturali che ha messo in evidenza, riesca finalmente a produrre un cambiamento nelle politiche detentive e sulle misure alternative alla detenzione.

Sergio Cusani / Corrado Mandreoli – CGIL Milano 

NOTA. A maggio 2020, dopo che aveva cominciato a diffondersi il Covid in alcuni Istituti di pena della California, il California Department of Corrections and Rehabilitation e il California Correctional Health Care Services (CCHCS) hanno deciso di trasferire alcuni detenuti in strutture che non presentavano focolai, ignorando le raccomandazioni dei sanitari. Nello specifico, il 30 maggio sono stati trasferiti a San Quentin 122 detenuti provocando un disastro, come afferma l’Ispettore Generale, dato che dei 122 detenuti, 91 sono risultati positivi e 2 sono morti per complicazioni Covid-19. Nei tre mesi successivi ai trasferimenti, a San Quentin il numero di casi di Covid-19 è salito ad oltre 2.200 su circa 3.300 detenuti e 28 detenuti sono morti. Da questa situazione ne è derivata la multa. Uno dei detenuti contagiati a San Quentin ha dichiarato alla CNN: ” Dal giudice sono stato condannato a 5 anni e 4 mesi. Non ero stato condannato a morte.”

 

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