La Tratta è una grave violazione dei diritti umani ed è un crimine su cui lucrano i trafficanti di esseri umani che realizzano lauti guadagni dalla vendita di donne, uomini, ragazze e ragazzi.
La Tratta rappresenta ancora oggi, purtroppo, un fenomeno diffuso in tutto il mondo. Sono oltre 40 milioni le vittime. Tra queste, il 72% sono donne, mentre il 23% sono minori. Fra le principali finalità della tratta vi sono lo sfruttamento sessuale (quasi 60%) e il lavoro forzato (34%). In questi ultimi anni il fenomeno della tratta è cambiato anche in Italia, specialmente per quanto riguarda la prostituzione coatta. Sono diminuite le donne nigeriane - i cui sbarchi sono calati drasticamente, ma il cui sfruttamento è diventato ancora più brutale in Libia - e sono aumentate le donne di altre nazionalità. Lo sfruttamento sessuale, inoltre, a causa della pandemia da Covid-19 si è ulteriormente spostato dalla strada all’indoor e online, rendendo le vittime ancora più invisibili e vulnerabili. In Italia, si stima che siano tra le 75.000 e le 120.000 le vittime, di cui il 37% ha un’età compresa tra i 13 e i 17 anni.
Siamo impegnati da anni su questo fronte sensibilizzando la popolazione a tutti i livelli sulle conseguenze gravi di questo fenomeno. Nel 2017, in particolare contro la tratta destinata allo sfruttamento sessuale, ha rilanciato questa sua azione collaborando e aderendo formalmente alla Campagna dell’Associazione Papa Giovanni XXIII “Questo è il mio corpo” contro la prostituzione, impegno che sta portando avanti su tutto il territorio nazionale, organizzando eventi e coinvolgendo personalità del mondo politico e istituzionale per una più efficace azione di contrasto, anche attraverso il contributo diretto alla realizzazione del Piano nazionale Anti tratta.
Per quanto riguarda lo sfruttamento lavorativo, in molte occasioni, la Cisl ha formulato diverse proposte per potenziare l’opera di prevenzione e contrasto, suggerendo tra le altre cose: la riapertura di canali di ingresso regolari programmati in Italia per motivi di lavoro nonché prevedere corridoi umanitari per i richiedenti asilo al fine di arginare alla radice il traffico, lo sfruttamento, la violenza e la tratta degli esseri umani; l’estensione degli effetti della legge sul caporalato in agricoltura anche ad altri comparti come il settore del lavoro di cura, domestico e nel terziario; il monitoraggio degli effetti della L.132/2019 sulle vittime di tratta, l’applicazione dell’art. 18 del T.U. sull’immigrazione; il ripristino degli sgravi contributivi per l’assunzione di vittime di violenza di genere e l’estensione anche a quelle di tratta, nella consapevolezza che le vittime, solo attraverso un percorso di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro, possono raggiungere quella autonomia necessaria a renderle libere.
Insieme all’edilizia, alla pesca e al lavoro domestico e di cura, il settore dove è più diffuso il fenomeno è rappresentato dall’agricoltura, dove molti sono gli uomini, ma dove tantissime sono anche le donne, italiane e straniere, che vivono sulla propria pelle ciò che si rivela essere spesso un “doppio sfruttamento”, lavorativo e sessuale. Parlare di numeri e statistiche in questo caso diventa molto difficile se non addirittura impossibile. Intanto la Cisl, visto e considerato che lo scoglio più grande per la legalità resta in ogni caso la scarsa denuncia da parte delle vittime, ha pensato bene di adoperarsi da qualche anno, attraverso la creazione di un numero verde gratuito, nell’ambito della Campagna della Fai Cisl “SOS Caporalato”, per favorire e raccogliere le richieste di aiuto.
Liliana Ocmin (Responsabile Coordinamento Nazionale Donne)
La notizia che Kauan Basile, un bambino brasiliano di otto anni è il più giovane giocatore di calcio a firmare un contratto di sponsorizzazione, per la Nike, battendo il record di Lionel Messi che lo ha firmato a quindici anni e dei suoi connazionali Neymar e Rodrygo che lo hanno firmato a 13 e ad 11 anni e, nel tempo, sono diventati dei grandi campioni, oltre a sottolineare “l’effetto scia” del gioco del calcetto - soprattutto sudamericano - che fa germogliare, a più riprese, “campioncini”, sin dall’infanzia, alla conquista di trofei, mi stimola a fare alcune riflessioni che si muovono nell’ottica di attirare l’attenzione di genitori, educatori, operatori della comunicazione, sui problemi che ne deriveranno. Bypassando, naturalmente, l’evidente clamorosa visibilità che certe notizie accendono intorno ai loro giovanissimi protagonisti.
È decisamente pericoloso trasformare il piacere e l’esperienza psicofisica del giocare a pallone che sperimenta un bambino di otto anni, in un contratto di sponsorizzazione che lo metterà di fronte alla faticosa impresa di soddisfare le aspettative di genitori, parenti, tecnici e sponsor. Si tratterà per lui, così come è già accaduto per tanti giovanissimi soggetti capaci di eccellere, in modo straordinario, soprattutto nel campo della musica, dello spettacolo, del cinema, della scrittura, della poesia, della pittura e, ancora, dell’ecologia, della matematica, delle scienze, di misurarsi con la necessità e, perfino, con l’obbligo di collezionare un successo dietro l’altro. Per non deludere quegli adulti che hanno puntato sulle sue qualità, col desiderio di essere “risarciti” sia degli investimenti, emotivi e sociali, fatti in quanto parenti, sia di quelli economici , fatti in quanto sponsor.
Misurarsi, poi, con una popolarità improvvisa e consistente - così com’è avvenuto a tanti “piccoli fenomeni”- e che, però, può trasformarsi in un declino dell’attenzione, dopo il consenso all’improvviso ottenuto - quasi una magia! - saltando i graduali passaggi che ne dovrebbero mediare e garantire, nel tempo, la conferma e la durata, può causare, nei minori, la rinuncia alla loro infanzia, preadolescenza, adolescenza, per diventare “star” o “campioni”, adultizzati dall’altrui bisogno di visibilità, successo, ricchezza. E provocare un tale stress, da favorire disturbi del sonno e dell’alimentazione, crisi nervose ed emotive, esplosioni di aggressività rivolta contro gli altri ma, anche e soprattutto, contro se stessi. Simili ferite dell’autostima, pertanto, andrebbero evitate. Personalmente, ho denunciato e denuncio da anni, l’importanza di coltivare, da una parte, in modo sistematico, attento, in famiglia, a casa e nel sociale, le predisposizioni, le capacità, le specialità che possono costituire, nei minori talentuosi e non, una solida base su cui costruire il loro futuro e, dall’altra, quella di far rispettare pienamente, come da Convenzione Onu, i diritti dei minori ad esprimersi senza che questo ostacoli o inibisca in loro la libertà di crescere. E, pertanto, nel pieno rispetto dei loro tempi di crescita e delle loro esigenze affettive ed intellettive.
Prof.ssa Maria Rita Parsi(Psicoterapeuta e Presidente Fondazione Movimento Bambino)La chiamano immigrazione clandestina ma è traffico di esseri umani perlopiù donne e i loro figli.E in Europa si fa ancora troppo poco a 20 anni –inverno 2000 a Palermo, l’Italia ha ospitato la conferenza delle Nazioni Unite in cui è stata presentata la Convenzione contro la criminalità organizzata e dunque la tratta di esseri umani : “La prostituzione e altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o il servizio forzato, l’accattonaggio e la schiavitù, l’espianto di organi, e nuove forme sconosciute di sfruttamento in aumento.” Gli ultimi dati diffusi dall’Unione Europea relativi all’anno 2017 – 2018 parlano di oltre 26.268 vittime. La stragrande maggioranza di esse nel nostro continente sono ancora donne e ragazze (72%), dove lo sfruttamento sessuale è lo scopo primario del loro traffico (60%). In questi due anni, i paesi con il maggior numero di vittime registrate sono stati il Regno Unito, la Francia, l’Italia, i Paesi Bassi e la Germania. Tre quarti dei trafficanti sono cittadini uomini dell’Unione Europea, che operano principalmente nel loro paese di cittadinanza e i dati forniti mostrano che generalmente la metà delle vittime della tratta di esseri umani sono cittadini europei, sfruttati principalmente all’interno del loro paese d’origine. Tra le cittadinanze europee, le persone più sfruttate provengono dalla Romania, seguono poi Regno Unito, Ungheria, Francia e Polonia. Allo stesso tempo, anche i cittadini non europei, soprattutto donne provenienti dalla Nigeriani, l’Albania, il Vietnam, la Cina e il Sudan vengono trafficate e portate all’interno dei confini dell’Unione Europea. L’adescamento delle donne avviene per la maggior parte dei casi da parenti o persone molto vicine alle vittime, partner o uomini che con la promessa di una vita migliore adescano giovani donne nelle zone più povere dell’Est Europa, portandole poi ha farle prostituire sul nostro territorio nazionale. Da oltre 30 anni l’Italia rappresenta poi la destinazione europea e punto di arrivo nel continente della tratta e dello sfruttamento sessuale sopratutto delle donne nigeriane. Arrivando in un nuovo paese, le donne non sono consapevoli di quale tipo di aiuto legale possono cercare, mentre altre hanno paura di chiedere aiuto a causa delle conseguenze e ripercussioni delle maledizioni pseudo religiose di riti pagani su di loro e sulla loro famiglia. Con la pandemia, le attività di sensibilizzazione in strada svolte dalle ong per aiutare le vittime della tratta di esseri umani sono fortemente diminuite, lasciando ancora più casi da sostenere .
La crisi sanitaria e il confinamento hanno fatto si che lo sfruttamento sessuale online sia aumentato drasticamente; i predatori hanno sfruttato la vulnerabilità dei e delle più giovani adescandoli su piattaforme online. Secondo la Commissione Europea la domanda di materiale pedopornografico sarebbe aumentata fino al 30% in alcuni stati membri dell’Unione. In un recente rapporto , Europol l’Agenzia europea di polizia ha registrato un aumento dei reati informatici e dello sfruttamento sessuale dei bambini. L’Europol, inoltre afferma che, il 30% degli autori del reato che sono in possesso di materiale pedopornografico e attivi negli scambi online sono inoltre coinvolti direttamente nelle azioni di coercizione ed estorsione. La legge emanata ventanni fa, non si pronuncia su realtà e fenomeni non ancora esistenti o ampiamente discussi all’epoca. Il traffico sessuale delle persone ltgb è comunemente trascurato e raramente segnalato dai governi locali e nazionali. Anche la maternità surrogata è interpretata come una forma di sfruttamento e traffico di esseri umani. Secondo l’Ilo, la commercializzazione della maternità surrogata legale ha già dato vita a una nuova forma di sfruttamento.La madre vende il suo ventre e il bambino viene visto come una merce consegnata al compratore dal genitore del bambino. Si può parlare di sfruttamento e vulnerabilità dei bambini, ma al contempo, dello sfruttamento della debolezza e situazione economica di alcune donne, costrette a espatriare nei paesi europei per intraprendere processi di fecondazione in vitro in cambio di un’ingente somma di denaro. Il rapporto della Commissione Europea inoltre menziona che il numero effettivo di vittime è probabilmente molto più alto di quello registrato, soprattutto perché al momento, rimane molto complicato identificare le vittime come tali, e riconoscere i nuovi fenomeni emersi. La promozione della cooperazione giudiziaria tra i paesi dovrebbe essere una priorità per combattere la criminalità transnazionale. Il parlamento e la Commissione Europea deve affrontare con più forza la sfida di questo orribile delitto inclusa l’accoglienza certa e la domanda di beni e servizi da fornire alle vittime. Lo svantaggio degli immigrati (uomini e sopratutto donne) nel mercato del lavoro dei paesi riceventi è enorme.
Sono svantaggiate a causa del loro livello di qualificazione: questo vale in particolare per le migranti provenienti da Africa, Asia e America Latina, dove i tassi di istruzione sono in generale relativamente bassi. In secondo luogo, il loro capitale umano e i titoli di studio stranieri, ad esempio, non vengono riconosciuti dai datori di lavoro e la distanza linguistica spesso impedisce di usare le proprie competenze nel paese di destinazione. Oltre alla lingua e ai titoli di studio, altre risorse occupazionalmente rilevanti sono localizzate e possono perdere di valore con lo spostamento territoriale: la maggior parte dei migranti dispone di informazioni limitate sul funzionamento del mercato del lavoro nei paesi di destinazione, e dunque essi faticano a trovare un lavoro adeguato alle proprie competenze e aspettative . Le migranti di norma sono privi di sostegno familiare, e quindi devono trovare lavoro per potersi mantenere e per poter mandare denaro a casa. Rispetto ai lavoratori e lavoratrici nativi, sono quindi più propensi a inserirsi negli strati inferiori del mercato del lavoro, dove c’è una costante richiesta di lavoro ma con condizioni lavorative e retributive relativamente basse e scarse possibilità di crescita professionale. Questo è particolarmente vero in paesi come l’Italia, dove i migranti hanno difficoltà ad accedere ai benefici del welfare state. in Italia coesistono una regolazione del mercato del lavoro relativamente rigida sul piano formale, e una sostanziale tolleranza per l’economia illegale, dove il mercato del lavoro è regolato in modo informale ed estremamente flessibile, creando occupazione dequalificata, poco pagata e pericolosa soprattutto per le donne. Negli ultimi anni si è sviluppata un’ampia letteratura internazionale che ha analizzato le cosiddette “catena di cura globali”, intese come una forma di esternalizzazione delle risorse di cura dai paesi più poveri a favore delle famiglie dei paesi più ricchi che possono permetterselo . Per esempio, molte donne dell’Europa dell’Est,ma ultimamente anche dei paesi orientali, anche se molto scolarizzate, lasciano mariti, figli e genitori anziani per emigrare in Italia e svolgere lavori poco qualificati come, appunto, quelli legati all’assistenza degli anziani. Il Governo Italiano e Draghi ha promesso di occuparsi della situazione femminile: bene ci siamo e ci saremo per noi e altre che già sono nel nostro Paese e che hanno bisogno di solidarietà e azioni concrete.
Alessandra servidori Presidente Nazionale di TutteperItaliaQuando ormai 28 anni fa ho iniziato a occuparmi di turismo accessibile, non si sapeva nemmeno come chiamarlo. Negli anni si è passati attraverso tante definizioni, Turismo per Disabili, Turismo Handicap, Turismo per tutti, ecc… fino ad oggi dove, ormai la maggior parte delle persone lo riconosce come Turismo Accessibile.
Ovviamente la cultura, il periodo storico e le sensibilità personali hanno influito nella ricerca di sinonimi di “turismo accessibile”.
L’evoluzione del linguaggio impone una evoluzione dei paradigmi associati, ma anche l’esperienza che abbiamo maturato in questi 13 anni di attività con Village for all, che ci ha portato ad offrire una nuova definizione.
Parliamo di Ospitalità Accessibile e vi spiego il perché.
Il settore turistico ha come primo mandato l’Ospitalità; l’attenzione alle esigenze dell’Ospite è uno degli standard internazionali più discussi, e valutato come elemento di qualità, anche se questa attenzione non ha mai avuto una declinazione verso l’accessibilità ed inclusione.
Volendo sviluppare ad una definizione aggiornata che nasca dal mondo dell’Hospitality, Ospitalità Accessibile ci sembra l’evoluzione naturale e molto più vicina al DNA turistico, soprattutto perché ci permette di dare attenzione alle esigenze delle persone e non alle loro disabilità.
Ospitalità Accessibile significa mettersi in relazione con l’Ospite (cliente della struttura ricettiva) e con le sue esigenze, creando un rapporto intimo e personale in una reciprocità di relazione. Questa, secondo me, è la grammatica dell’Ospitalità Accessibile.
Turismo Accessibile
In questi anni il turismo accessibile è sempre più spesso interpretato come il rispetto delle leggi sull’abbattimento delle barriere architettoniche ma le norme, complesse e di difficile interpretazione, non sono in grado di garantire la soddisfazione delle esigenze specifiche di ogni persona e delle diverse tipologie di disabilità, durante le proprie vacanze.
Non è la disabilità a definire le persone e le loro esigenze e non possono esserlo le norme edilizie; quelle garantiscono un livello minimo prestazionale della struttura ricettiva, ma non la qualità dell’offerta turistica.
Vogliamo fare un esempio?
Un bagno “a norma” non è garanzia che ogni persona con qualsiasi tipologia di disabilità si trovi a proprio agio, senza considerare il carico di “estetica ospedaliera” a cui è spesso associata l’installazione di servizi “per disabili”: la rende non attraente sia dal punto di vista del design che dalla vera e propria funzionalità per tutti. Provate poi a immaginare quale sarà la reazione di un turista “non disabile” quando si vede assegnare una camera con queste caratteristiche. Lo sanno bene gli imprenditori che spesso devono riconoscere uno sconto, o servizi aggiuntivi, per compensare un ospite che si sente trattato “da disabile”.
Accessibile Vs Ospitale
Va da sé che c’è differenza tra essere Accessibili e essere Ospitali. Prendendo queste due parole singolarmente hanno ciascuna un proprio significato, ma se noi associamo all’Ospitalità anche l’Accessibilità abbiamo prima di tutto l’espressione di una qualità superiore di accoglienza.
Ospitalità Accessibile significa innalzare lo standard qualitativo dell’Ospitalità alla sua massima espressione perche è “per Tutti”.
Conosciamo tutti luoghi “accessibili a norma” dove la capacità di accogliere ed essere ospitali è completamente assente; quei luoghi dove non torneresti nemmeno per bere un caffè!
Per contro, ci sono posti che, magari non sono molto accessibili ma la cordialità e l’attenzione che abbiamo ricevuto, insieme alla capacità di comprendere le specifiche esigenze, fanno superare ogni barriera.
Le persone disabili che fanno turismo, sono turisti! Per questo è necessario un cambio di paradigma nel mondo del turismo.
Quali sono gli strumenti necessari per offrire una Ospitalità Accessibile
Per prima cosa, possiamo dire che non avremo mai tutte le risposte a qualsiasi domanda, ma è importante avere le conoscenze e competenze necessarie per poter affrontare le esigenze del nostro Ospite; prima di tutto essere disponibili a fare le migliorie necessarie e possibili, acquisendo la capacità di interagire con il nostro Ospite per accogliere e cogliere, eventuali esigenze. Un’altra cosa importante è quella di saperlo informare correttamente e oggettivamente di ciò che possiamo offrire, così da essere sicuri di rendere le persone protagoniste delle loro vacanza.
Le persone disabili che fanno turismo sono turisti perché
Per accogliere questi Ospiti, questi turisti, bisogna quindi saper offrire una qualità che non sia il solo rispetto delle leggi sulle barriere architettoniche.
Per saperne di più puoi approfondire a questi link:
Hotel per disabili oppure Hotel per tutti? – link https://bit.ly/HperT_V4A
Formazione e Linee Guida per il Turismo Accessibile - http://bit.ly/Formazione_TA
Era il 19 Febbraio 1986 quando Elio Cirimbelli e Serena Dalla Pozza presentavano in conferenza stampa la nascita della Associazione Separati Divorziati ASDI anche a Bolzano.
La sorridente sveglia d’oro di Pietro fa crescere tutti. Puntuale segna il tempo, anzi, l’amico tempo. Che non è né troppo poco né troppo tanto, ma scorre come la vita, come l’acqua nel fiume o il sangue nelle vene… scorre e fa scorrere la vita intorno a sé, con un bambino che lo tifa e l’altro che si lascia accarezzare… Non è inesorabile questa danza, sembra quasi irresistibile. Non è triste, è coinvolgente. Non è qualcosa che fa invecchiare, ma fa saltare e ringiovanire come un ritmo musicale travolgente e incontenibile.
È difficile, nel nostro tempo, guardare allo scorrere dei giorni e delle ore con serenità profonda: i ritmi della vita non sono più così saldamente nelle nostre mani, la nostra libertà di prenderci del tempo è amputata con aggressività, la vita ci sfugge più di prima… è proprio complicato, oggi, farci accarezzare dall’amico tempo…
La sveglia di Pietro ci regala un piccolo segreto: più che poter decidere se il tempo dei nostri giorni sia bello o brutto, possiamo decidere se sia nostro o no. Se lo vogliamo come amico o pensiamo che sia inutile. Se vogliamo accettare che comunque, come il tempo, la vita è una danza e prendere il ritmo è sempre possibile.
C’è una cosa da fare se vogliamo che il tempo torni nostro: andare più in su, come suggerisce il braccio alzato e l’indice puntato della sveglia d’oro. Non aspettare a crescere, ma farlo adesso. Non essere intorpiditi, ma svegli. Non buttarci giù, ma rialzarci. Usare il tempo per il di più, ogni di più che ci è possibile: saremo noi, allora, a diventare d’oro.
Venire a sapere dalla CNN/Ansa di una significativa multa da parte dello Stato della California al carcere di San Quintino negli USA per la violazione delle norme di sicurezza anti Covid, fa davvero riflettere molto.
Negli Stati Uniti d’America, il paese dove vige tuttora la pena di morte, un paese con una storica e consolidata politica giustizialista e securitaria pesante con più detenuti al mondo, lo Stato della California punisce con una multa di 421.880 dollari il carcere forse più famoso al mondo, San Quintino, per aver violato le norme di sicurezza anti Covid; multa che arriva dopo un rapporto dell’Ispettore generale che certifica l’accaduto e soprattutto le responsabilità. Quanto accaduto negli USA ci dovrebbe far riflettere, molto.
Il pensiero e il raffronto non può che correre alla situazione delle carceri del nostro paese, paese avanti nella elaborazione e produzione di normative sul trattamento penale incardinate sul principio del reinserimento sociale del detenuto, ma allo stesso tempo con una capacità di rispetto e applicazione delle norme promulgate assolutamente deficitaria.
La pandemia non ha fatto altro che evidenziare una situazione paradossale preesistente. L’esempio più eclatante è quello di scoprire che di fronte al rischio di diffusione del contagio all’interno degli istituti penali, si sono bloccate tutte le visite e tutti i colloqui. Peccato che le uniche modalità di comunicazione con i propri familiari corrispondevano a una telefonata settimanale. Sapendo, e avendolo codificato in linea di principio, quanto importante sia la cura delle relazioni, a partire da quelle familiari e non solo, si arriva a pensare di utilizzare strumenti di comunicazione da remoto solo a seguito della pandemia.
Un altra questione che la pandemia ha evidenziato è sicuramente la condizione permanente di sovraffollamento con conseguente violazione di tutte le norme igienico sanitarie. A nessuno può sfuggire che se una delle condizioni immediate per contrastare il diffondersi dell’epidemia è il distanziamento e le pratiche di igienizzazione personale e ambientale, il sovraffollamento è non solo una pena aggiuntiva ma è una condizione esplosiva per la diffusione del virus tra i detenuti e il personale, agenti e dipendenti amministrativi. Anche in Italia, si è anche cercato di rimediare a tale situazione limitandosi a travasare “le eccedenze” da un carcere all’altro, altro magari ritenuto al momento più sicuro dal punto vista sanitario. Il che, come accaduto a San Quintino, può determinare un dilagare del contagio e quindi provocare morti.
Per non parlare del ritardo e della lentezza con la quale si sono utilizzate le protezioni individuali e le pratiche per il tracciamento del virus. Mascherine e gel igienizzanti nonché i tamponi sono arrivati con un ritardo ingiustificabile.
Per non parlare della copertura vaccinale della popolazione detenuta e dei dipendenti degli Istituti di pena. Si è dovuta alzare la voce della Senatrice a vita Liliana Segre per sollecitare il Commissario Arcuri nel considerare le carceri e la loro popolazione come situazioni particolarmente a rischio tanto quanto le RSA per gli anziani. Il che confuta radicalmente la convinzione, da diversi declamata con un mantra, che proprio il carcere in quanto luogo chiuso è il luogo più sicuro dal punto di vista sanitario: fuori è molto più pericoloso!
Queste semplici riflessioni per dire che se anche nel nostro paese si applicassero le sanzioni che hanno portato negli USA il carcere di San Quintino a pagare una maxi multa, la nostra amministrazione penitenziaria rischierebbe di dover dichiarare il fallimento amministrativo.
Il fallimento che però più dovrebbe realmente preoccupare è l’emergere palese della lontananza tra ciò che è scritto ed enunciato nelle normative e ciò che è applicato nella realtà e ancor di più il venir meno al dettato costituzionale che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, favorendo il suo reinserimento nella società.
La speranza è che una doverosa e seria riflessione sull’esperienza vissuta nella pandemia e sui limiti strutturali che ha messo in evidenza, riesca finalmente a produrre un cambiamento nelle politiche detentive e sulle misure alternative alla detenzione.
Sergio Cusani / Corrado Mandreoli - CGIL Milano
NOTA. A maggio 2020, dopo che aveva cominciato a diffondersi il Covid in alcuni Istituti di pena della California, il California Department of Corrections and Rehabilitation e il California Correctional Health Care Services (CCHCS) hanno deciso di trasferire alcuni detenuti in strutture che non presentavano focolai, ignorando le raccomandazioni dei sanitari. Nello specifico, il 30 maggio sono stati trasferiti a San Quentin 122 detenuti provocando un disastro, come afferma l’Ispettore Generale, dato che dei 122 detenuti, 91 sono risultati positivi e 2 sono morti per complicazioni Covid-19. Nei tre mesi successivi ai trasferimenti, a San Quentin il numero di casi di Covid-19 è salito ad oltre 2.200 su circa 3.300 detenuti e 28 detenuti sono morti. Da questa situazione ne è derivata la multa. Uno dei detenuti contagiati a San Quentin ha dichiarato alla CNN: " Dal giudice sono stato condannato a 5 anni e 4 mesi. Non ero stato condannato a morte.”
Novosibirsk 2003
- Signora italiana quanti figli ha?
- Non ho figli.
La “disgrazia” che mi era toccata passava di bocca in bocca. Dalla tabacchina, alla bottegaia, alla verduraia di Bugrinskaja Rosha. A 28 anni in Russia senza figli eri considerata una attempata, cui era toccata la sventura della sterilità – uno stigma irreparabile e difficile da accettare. Perché il senso di essere a questo mondo è vivere, lavorare, procreare. Gli occhi di ognuna di quelle donne che continuavano a esclamare “poverina”, sembravano solo ricordarmi arcigni: “tu sei in debito. Punto.”
Ne chiacchieravamo molto anche con Chiara, amica di Cittadella, Padova, imprenditrice, nelle nostre serate moscovite al Cicco Club, giocando a leggere i fondi del caffè e a immaginare il nostro futuro.
Con Sistrà Barbara, suora che in gioventù fu collaboratrice di Lech Wałęsa, direttrice presso il Deckij dom, orfanotrofio/ Prijut San Nicola, ne parlavamo altrettanto sulle rive dell’Ob. Io difficilmente comprendevo questo senso russo della maternità che mi appariva obsoleto e accettabile ai tempi di mia nonna. Con Barbara apprendevo i primi semi di cosa significasse servire la maternità del cuore, pur non ponendomi minimamente il problema. Non sapevo ancora che quella sarebbe stata la mia via. Impegnandomi già allora con Ai.Bi. Amici dei Bambini, solo negli anni ho scoperto l’intensità e la forza della missione. Il “diritto di essere figlio” vuol dire allo stesso tempo occuparsi di demografia, si sanità, di Welfare State, di inclusione, di agenda 2030, di famiglia, di formazione, di etica, di comunicazione, in una parola, di politica.
Ogni crisi di Governo mi dà la sensazione che stiamo tessendo, senza volontà, una tela di una Penelope vedova, in mezzo a festini e vagheggi di tempi perduti o tempi da inventare, mentre il presente scorre languido, solo, infetto, tra sbuffi di assembramenti, misti di ebbrezza e tasche piene di nuove povertà.
L’arrivo di Draghi nella pandemia fa ben sperare. I mercati sperano. E i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze? Il Santo Padre ha istituito la giornata mondiale dei nonni e degli anziani. I nonni davanti ai nipoti sogneranno e i giovani profetizzeranno.
Draghi è stato bambino ed è stato ragazzo, a caro prezzo, posso immaginare dal suo sguardo che osservo da lontano, filtrato dalla tv, scoprendo sulla rete che perde i suoi genitori all’età di quindici anni. Cerco di capire l’uomo attraverso gli insegnamenti che ha ricevuto. L’abruzzese keynesiano Federico Caffè era di origini modeste. Famosi i suoi “fondi di Caffè”, articoli “sempre troppo corti” e contenenti un “messaggio unico, inequivocabile”. Cito dal saggio di Daniele Archibugi Federico Caffè, solitario maestro e apprendo la “saggezza non convenzionale” dell’economista. “Le crisi economiche del passato mettevano in luce quanto fosse precario il processo di sviluppo, e come esso avesse bisogno di essere sostenuto da idonee politiche economiche. (Caffè) Considerava niente più che un dogma, e per giunta banale, l’idea che il mercato fosse capace di autoregolare i processi economici...” Scriveva Archibugi: era il 1991.
Se il frutto cade vicino all’albero, così come nel mio Abruzzo si dice, oltre che nella competenza di Draghi spero nella sua umanità, toccata anche dalla mia terra forte e gentile. Pur ignorando totalmente le teorie economiche, intuisco quanto il tema “acquisti”, un tempo - e ancora oggi per molti - simbolo di rinascita, sia, ancor prima che politica, una questione etica. Da quando la “cosificazione”, il benessere, la generatività del denaro sono diventati sostitutivi del buon essere, del buon lavorare la terra abbondante o avara, rispettabile.
Quando le persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra possibile che qualcuno accetti che la realtà gli ponga un limite. In questo orizzonte non esiste nemmeno un vero bene comune. Se tale è il tipo di soggetto che tende a predominare in una società, le norme saranno rispettate solo nella misura in cui non contraddicano le proprie necessità. Perciò non pensiamo solo alla possibilità di terribili fenomeni climatici o grandi disastri naturali, ma anche a catastrofi derivate da crisi sociali, perché l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca. (Laudato Sì, 204). Come Draghi risponderà a esigenze politiche e ai nuovi paradigmi da strutturare, essendo l’homo oeconomicus tramontato e l’idea di sviluppo – e forse anche di Europa - tutta da costruire? Segnerà lui il passo della Politica esercitata con compassione?
L’Arcivescovo di Bologna Zuppi ha scritto recentemente una lettera alla nostra Costituzione fa vibrare ogni muscolo, fa brillare gli occhi, scuote il cuore. In una famiglia, i genitori, i nonni, i bambini sono di casa; nessuno è escluso… se potessimo riuscire a vedere l’avversario politico o il vicino di casa con gli stessi occhi con cui vediamo i bambini, le mogli, i mariti, i padri e le madri. Che bello sarebbe!” (FT 230). Zuppi cita l’Enciclica Fratelli tutti e richiama il bisogno urgente di amore politico.
Per quanto consideri il mio, grazie a Suor Barbara, un “debito buono” nei confronti del mio Paese, spero che Draghi, con il suo essere e con il suo fare, ponga le condizioni perché, dopo questo lungo inverno, torni la primavera, affinché i bambini e le bambine tornino a nascere numerosi, nella pancia, nel cuore e nelle orecchie degli italiani. “I bambini sanno” era il titolo di un bellissimo film di Walter Veltroni. Spero che Draghi ascolti i bambini e che ami la primavera. Continuo ogni tanto a guardare nei fondi di caffè… e a sperare anche… che nel marzo incipiente, dopo le frittelle, dopo il Carnevale e dopo il mondo alla rovescia, arriveranno il pane e l’olio, semplici e buoni da mangiare sotto i mandorli in bella compagnia.
Vorrei lanciare un serio allarme. Non possiamo restare indifferenti di fronte alla “strage di bambini” e ai femminicidi che, oggi, accompagnano, parallelamente, la “strage degli anziani” messa in atto dal nemico, si spera arrestabile, del virus Covid-19. Dobbiamo agire contro questa terrificante ignominia cercando un vaccino, civile e preventivo che, finalmente e decisamente, la arrestino. È di pochi giorni fa la notizia di un bambino di due anni massacrato a botte dal compagno ghanese della madre che, finalmente, lo ha denunciato e che ora è ricoverata, in stato di shock. Da tempo quella donna subiva minacce e percosse ma, come molte altre, non lo aveva denunciato.
Perché? Certamente perché aveva paura; certamente perché non si fidava di poter essere difesa e tutelata; certamente perché non è, in alcun modo, “a misura” la diffusione delle informazioni in merito alle garanzie sociali, legali, sanitarie alle quali possono ricorrere le donne e i minori che si trovano in drammatiche difficoltà, a motivo di vessazioni fisiche e psicologiche, minacce, abusi, percosse, ricatti. E, ancora, perché è “soprattutto” affidato a realtà di volontariato un impegno che dovrebbe essere totalmente istituzionale, totalmente garantito ovunque e, con immediatezza di fronte alle denunce, reso attivo. Inoltre, va sottolineato come, assai spesso, i campanelli d’allarme e le richieste di aiuto non vengano accolte o cadano nel vuoto di rimandi che, nel tempo, sono fatali per le vittime. Così l’anziana Rosina Alessandro, che temeva per se stessa ed è stata uccisa. Così i genitori di Brenno che, magari, facevano confidenze ai vicini sul disagio che provavano di fronte al figlio, ora depresso ora alterato, senza però ricorrere ad un serio, terapeutico sostegno professionale oltre che alla vigilanza di autorità che avrebbero potuto intervenire prima di dover ricercare i loro corpi nell’acqua di un fiume. Certamente le responsabilità, presunte o vere, del loro figlio Benno, in merito a questo che si profila essere un parenticidio, dovranno essere dimostrate. Ma, al contempo, una morte tragica come quella che, per ora, ha fatto ritrovare soltanto il corpo della madre di Benno nell’Adige, in attesa che, dragando ancora, si riesca a far rinvenire anche quello del padre, ci segnalano il profondo scollamento e le carenze della rete sanitaria, sociale, culturale, legislativa che, perfino, in ambiti sociali così ristretti, circonda le famiglie.
E, ancora, ricordando il caso del povero Willy che i fratelli Bianchi hanno pestato a morte perché aveva tentato di difendere un amico dalle loro percosse, va rilevata l’indifferenza e la violenza con cui quel crimine è stato consumato. Notare, poi, che i famigliari hanno, perfino, detto si trattava di un immigrato. Quasi questo trasformasse l’omicidio in un crimine minore! Un crimine, peraltro, virtualmente preceduto dalle immagini dei due fratelli palestrati e nutriti a forza di tatuaggi ed anabolizzanti. Un crimine, infine, come quelli che si consumano, con sempre maggiore frequenza, alimentati, proprio ed anche, dal lockdown . Ovvero quel Covid-19 che, smascherando i disagi profondi, con la prigionia familiare e sociale che impone agli individui e alle comunità, ne ha rivelato le autentiche piaghe quotidianamente inferte ai più fragili e ai più esposti: le donne, i bambini, i giovani, gli anziani.
Prof.ssa Maria Rita Parsi
Una realtà sommersa di cui si parla poco, anche perché, secondo qualcuno, potrebbe turbare la coscienza.
Personalmente penso che a turbare, o meglio a sconvolgere, la coscienza dovrebbe piuttosto essere l’esistenza di una realtà così devastante come la tratta.
Un crimine orrendo che riguarda un numero impressionante di persone - per la maggioranza donne- di cui circa il 30% , ovvero 46 milioni secondo una stima approssimata per difetto, costituito da bambini e bambine dai 2 ai 10 anni, reclutati anche loro in modo violento o con l’inganno, che diventano vittime di sfruttamento sessuale (panorami terrificanti), lavorativo (oltre 200 milioni di minori di cui 73 milioni sotto i 10 anni, che lavorano in condizioni disumane, con un’alta percentuale di morti all’anno), vittime di morte violenta per espianto di organi, di matrimoni forzati e precoci, di addestramento militare.
Provengono prevalentemente da Nazioni dell’Africa, dell’America Centrale, ma anche dell’Est europeo, specialmente dalla Romania. Paesi tutti segnati da condizioni economiche molto precarie, da instabilità politica, da situazioni di guerra, mentre le connivenze si registrano in quasi tutti i Paesi cosiddetti sviluppati, compresa la nostra Italia, che pure ha buone leggi, che, applicate, danno risultati limitati, ma pur sempre incoraggianti.
Non è un fenomeno da confondere con l’immigrazione, ma sono evidenti le connessioni.
Le politiche migratorie restrittive lasciano ampio spazio a chi offre servizi illegali in cambio di denaro. Di molto denaro, che alla fine è procurato con l’assoggettamento a vincoli e a trattamenti lesivi della stessa dignità e l’avviamento alla vendita del proprio corpo, e comunque ad attività degradanti, ma molto remunerative per gli sfruttatori. Del resto, la semplice condizione di clandestinità, di minori non accompagnati, comporta l’esclusione, la marginalizzazione, facilita il divenire preda di gente senza scrupoli.
Dietro a questa realtà ci sono organizzazioni criminali “storiche” (mafia, ’ndrangheta, camorra, sacra corona unita) che, duramente colpite da successi della lotta condotta dalle Istituzioni, si sono ristrutturate, costituendo veri “cartelli” transnazionali, in una florida economia parallela che, ispirandosi ai meccanismi di mercato, ne costituiscono l’altra faccia sul piano dell’illegalità.
Il traffico di persone è una ferita profonda, che incide non solo nel corpo e nella psiche delle vittime, a volte in modo indelebile, ma che tocca tutti noi, colpisce persone, esseri umani come noi, per di più indifesi come i piccoli, ingannati. E’ una vergogna che prospera avvolta dall’ignoranza o dall’indifferenza dei più e diminuisce in certo modo la nostra umanità.
Per rimuovere le principali cause remote del fenomeno occorre spendersi per una cultura nuova, davvero di fraternità, di cura, e ripensare tutta l’economia, che non può continuare a sancire o approfondire disuguaglianze, a mantenere luoghi, come i paradisi fiscali, che favoriscono le organizzazioni criminali. Occorre conoscere e diffondere l’economia civile, di comunione, il microcredito, e d’altra parte, anche sapere che alcuni nostri stili di vita e scelte di acquisto di prodotti possono renderci complici inconsapevoli. Dietro un “risparmio” sui costi, ad esempio, anche nella consegna di un pranzo, c’è quasi sempre un lavoro sottopagato.
L’8 febbraio si ricorda la giovane sudanese che, rapita all’età di nove anni, visse sulla sua pelle le sofferenze della riduzione in schiavitù, santa Bakhita. Furono i suoi rapitori a chiamarla così con perverso spirito umoristico, perchè Bakita vuol dire Fortunata. La bimba, per l’atroce trauma subìto, aveva dimenticato perfino il suo nome! Portò nel suo corpo 144 cicatrici di profonde ferite che le avevano inflitto dopo averla resa schiava. Il suo “acquisto”, da parte di un console d’Italia prima e poi da un’altra famiglia, segnò per lei l’inizio di una vita diversa. Incontrò rispetto, gentilezza, comprese che la dignità è parte integrante della persona umana e questo le diede pace, gioia e segnò l’inizio di una nuova vita.
Ed è divenuto,l’8 febbraio, la Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro questo odioso crimine. Organizzata da Talitakum, la Rete della vita consacrata contro la tratta, coinvolge un numero crescente di Associazioni, Movimenti, gruppi di persone impegnate in prima linea con coraggio e determinazione nella lotta contro questo fenomeno e nell’aiuto concreto alle vittime. E’, il loro, un lavoro delicato, che li fa entrare nelle vite di giovanissime donne e adolescenti, nelle
loro paure, emozioni, speranze, cocenti delusioni, nelle loro storie che troppo spesso non hanno un lieto fine anche se non mancano episodi che si concludono con pieno successo. Non potrò dimenticare mai l’udienza privata con papa Francesco di tre anni fa. Eravamo 110 (di cui oltre 30 giovani donne e uomini vittime di tratta, ora al sicuro in strutture protette), impegnati a vari livelli e rappresentanti anche di tanti che nel mondo lottano contro questo crimine, vera “piaga nella carne di Cristo”, come il papa la definì in quella occasione. La sua denuncia nitida, implacabile, articolata attraverso risposte date a braccio ad alcune domande dei giovani presenti, ne tracciò un quadro nitido, drammatico. Forte la sottolineatura della vergogna della domanda, senza la quale non può esserci offerta, una vergogna bruciante per i paesi occidentali, ricchi, dove sono i clienti dei vari “servizi” in cui la tratta si articola, offerti su internet, sulla strada o attraverso reti perverse.
In quella occasione citò anche storie da lui conosciute di persona, come quella di un giovane eritreo che dopo 3 anni di calvario è arrivato in Italia o quella della giovane donna nigeriana, laureata, ingannata da una signora cristiana. Sono l’ignoranza, la povertàe la corruzione che permettono ai trafficanti di agire impunemente. E dà indicazioni precise: “occorre creare opportunità per lo sviluppo umano integrale. Potenziare l’educazione. Essa infonde coraggio a chi ha conosciuto questo male, spinge a denunciare i traffici, consente di dare messaggi ad altri, vittime di ignoranza, povertà, venduti talvolta dai propri familiari o da falsi amici”.
“Educazione e lavoro”, è una ricetta antica, “già sperimentata da don Bosco a fine 800”.
Un impegno che Francesco prende a nome anche di tutta la Chiesa.
Alla fine siamo usciti tutti con un’iniezione di speranza, di coraggio. Con la voglia di combattere, di rischiare, di aprire percorsi nuovi, per ridurre e magari eliminare questa dolorosissima piaga, con l’impegno a creare spazi sempre più ampi per sensibilizzare il maggior numero di persone e per lavorare concretamente insieme.
Lo struzzo piace molto a Pietro. Perché è agile, curioso, originale. Ma, soprattutto, come mi dice lui: “Lo struzzo ti costringe a vedere le cose da un altro punto di vista”.
Infatti, se si ruota il disegno, lo struzzo è sempre lì, capace di stare in piedi, e di sorridere, forse ancora di più. Ecco: lo struzzo di Pietro. Sorride perché trova altri punti di vista da cui guardare il mondo, perché porta con sé in questa esperienza tutti, dagli uccelli al sole con i suoi simpatici occhiali neri. E gli uccelli impareranno a nuotare, come i pesci, e il sole a sorgere non solo dal basso, ma anche dall’alto, come si dice in uno dei canti di speranza più belli del Vangelo (cfr. Lc 1, 78).
In un momento e in un mondo in cui facciamo fatica anche solo ad ascoltare gli altri (vale per tutti, dalla politica alle associazioni più impegnate, dalle famiglie alle relazioni di comunità…), lo sguardo di Pietro insiste: è bello il contrario perché completa noi stessi, è intelligente vedere a gambe in su perché forse le stelle non sembreranno così lontane, è come ossigeno respirare aria nuova e diversa con cui altri vivono e sperano… Quanto è strano, invece, bloccarsi, irrigidirsi, pensare che gli altri debbano essere giudica ti solo in base alla nostra altezza e non avere la voglia di spostarsi di un millimetro, in su o in giù, a destra o a sinistra.
Grazie, Pietro… da tanti punti di vista!
A cura di Don Marco Mori
Le violenze e i maltrattamenti per i quali sono stati arrestati altri 3 operatori sociosanitari della casa di riposo di Varazze, hanno fatto salire a sei il numero dei soggetti maltrattanti in quella struttura. E hanno, ulteriormente, evidenziato in quale tipo di violenze possono incappare gli anziani, già vittime prioritarie del Covid-19. Poiché il virus fa soprattutto “strage di anziani” i quali, insieme ai medici, agli infermieri, agli operatori sociosanitari ed amministrativi degli ospedali e a coloro che sono preposti , in vario modo, all’assistenza di malati e anziani, saranno e sono i primi ad essere vaccinati. E se, in apparenza, questo può sembrare e, si spera, lo sia, un vantaggio, posto a salvaguardia della loro salute e di quella della collettività, in verità, rappresenta, al contempo, l’esperienza dell’essere “cavie”. Cavie di un vaccino la cui efficacia ed i cui effetti secondari preoccupano. Soprattutto perché tanti sono i tentativi di metterne in dubbio l’immediata, risolutiva risposta. Il fatto, poi, che l’alternativa sia, proprio e soprattutto per gli anziani, quella di poter essere contagiati, con il rischio di soccombere, ben poca libertà di scelta rimane a chi , tra loro, ha paura di morire in un modo, anche tragicamente evidenziato dalle documentazioni filmiche della sofferenza che impone.
Riflettere su questi aspetti diventa, dunque, un imperativo categorico da porre a servizio di coloro che, dovendo assistere gli anziani, si sentono costretti e coinvolti ad accettare, per continuare a lavorare, cure - quali, appunto, il vaccino - imposte dalla fragilità psicofisica dei loro assistiti. Questa potrebbe essere una delle ragioni, se non la principale che spinge alcuni di questi operatori ad un “burn out”che li rende indifferenti, brutali, violenti. Al punto di mettere in atto tentati omicidi e, perfino, omicidi. E che, di fatto, e’ sostenuto dall’angoscia di morte, madre di tutte le angosce umane da cui possono essere catturati, ancor più degli altri, proprio coloro che vivono a stretto contatto con chi sta affrontando la parte finale della propria vita. Un’angoscia di morte che adotta la difesa del “Se io morirò, morirete tutti!” e che vede negli anziani dei pericolosi “nemici” o i rappresentanti di un declino che, soprattutto se causato dal Covid-19, si manifesta in forma così frequente,estrema e dolorosa da canalizzare, assai spesso, la rabbia e le paure di persone molto più giovani fino ad orientarne e determinarne le esplosive manifestazioni. A danno degli anziani e, non solo! Gli anziani, poi, diventano vittime due volte dell’estrema fragilità a cui il Covid li espone, allontanando dal tramonto della loro vita ,anche i bambini che ne sono l’alba. E, ancora, limitando conforto,abbracci, strette di mano, baci che, invece, assai spesso, si trasformano in forme di rifiuto, repulsioni, condanna, proprio in quei in soggetti psicologicamente fragili che, pure, li assistono. A costoro, in primis e, naturalmente, ai tanti che, eroicamente, resistono e si sacrificano, va, poi, fornita, senza aspettare l’iter di burocratiche decisioni, un’assistenza psicologica quotidiana, Per evitare che “il Covid-20 del contagio emotivo” produca, in alcuni di loro, una tale repulsa del poter essere “appestati” e morire, da farli armare del potere distruttivo di tormentare, maltrattare e, perfino, infliggere la morte a chi è, più drammaticamente di loro, esposto a poterla subire.
Prof.ssa Maria Rita Parsi
La legge di bilancio n. 178/2020 ,già in Gazzetta Ufficiale, per il triennio 2021/2023 illude ancora una volta i cargivers , coloro che assistono a casa un familiare disabile. Sono tanti ,da una ipotetica indagine in difetto, almeno 500mila .E’ dal 2017 che la legge n.205 riconosce la figura giuridica del caregiver familiare e istituisce un Fondo, che in tre anni arriva a 70 milioni di euro, per sostenere direttamente il valore sociale ed economico del lavoro di cura che svolgono, e che se non svolgessero ricadrebbe sullo Stato con costi ben più alti. In mancanza, però, di una legge che stabilisca formalmente chi sono i caregivers familiari, quei soldi non sono mai stati attribuiti. Congelati.
Il secondo premier Conte ha tenuto per sè la delega per le disabilità, togliendola al Ministero del Lavoro ma ha attribuito al ministro per la Famiglia, Elena Bonetti, quella per spendere i soldi del Fondo. Ma assieme alla collega del Lavoro, Nunzia Catalfo, hanno compiuto alcuni errori gravi: hanno individuato come destinatari di quei fondi i caregivers familiari di persone con “disabilità gravissime”, fattispecie discriminatoria e giuridicamente inesistente; hanno limitato il sostegno economico ai soli caregivers “di coloro che non hanno avuto accesso alle strutture residenziali a causa delle disposizioni normative emergenziali” oltre che di una non meglio precisata misura di “ricongiungimento”; hanno consegnato alla Conferenza Stato Regioni il Fondo “68,314662 milioni” ripartito tra le regioni affinché lo destinino probabilmente alle cooperative, non direttamente ai caregivers o comunque ancora peggio per la formazione(?) e dunque agli enti decotti.
Dunque è lampante : non si rispetta la legge del 2017,si sono sottratti 1,685339 milioni di euro che mancano all’appello e ora con la legge ultima di bilancio si rimette presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un altro(?)fondo, con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023. Aspettando sempre i decreti attuativi che non si sa quando arriveranno. Ancora.Con il comma 365 art 1 viene previsto a favore delle madri disoccupate o mono-reddito facenti parte di nuclei familiari monoparentali con figli a carico aventi una disabilità riconosciuta in misura non inferiore al 60% un contributo mensile nella misura massima di 500 euro netti, per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023. Però i 500 euro al mese è la “misura massima” su cui verranno poi indicate le modalità di graduazione di quell’importo, e il testo non prevede espressamente nessun limite di reddito. Non si riferisce nemmeno all’ISEE, cosi’ come non precisa se vi siano incompatibilità con altre misure assistenziali (ad esempio il reddito di cittadinanza che dovrebbe già raggiungere questa platea). Ma i limiti ci saranno: è autorizzato un fondo di 5 milioni come la cifra massima destinata a questi interventi: finiti i soldi non si erogano più contributi e chi primo arriva si prende un po’. Altro problema è il limite al 60% di invalidità. I minori, salvo casi particolari, non vengono percentualizzati, come pure non vengono percentualizzati i ciechi e i sordi e quindi quella soglia, non è individuabile. E poi l’equiparazione fra una evidente “disoccupazione” e di un vago “monoreddito” è ridicola : non tutti sono poveri i monoreddito . E poi ancora, alle madri sì e ai padri no? Un vulnus costituzionale e discriminante evidente.