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venerdì, 29 Marzo, 2024

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“Campi d’ostinato amore” il libro di Umberto Piersanti

“Campi d’ostinato amore” il libro pubblicato nel 2020 dalla casa editrice La Nave di Teseo, scritto da Umberto Piersanti poeta, docente universitario ed editorialista sul nostro portale Angelipress. Un libro dove le sue parole attraversano, il dolore della storia e quello quotidiano si intrecciano, mentre lo sguardo del poeta si posa sulla grazia che, inaspettatamente, deposita il suo germe.

oggi ci fa piacere segnalarvi alcune delle recensione che sono state pubblicate dalla scorsa settimana e che dimostrano che Piersanti è “una delle voci della poesia più importanti del nostro paese”.

L’osservatore Romano :
«Campi d’ostinato amore» di Umberto Piersanti. In attesa del risveglio
di Nicola Bultrini

Umberto Piersanti è una delle voci più importanti della nostra poesia. Che ha un timbro forte, inconfondibile. Non solo per la lunga e profonda esperienza del verso, ma anche e soprattutto perché non si è mai tirato indietro di fronte alla vita. Quella vita la cui potenza ci disorienta, ci spaventa, ci ubriaca. Piersanti si pone al cospetto dell’esistente e lo canta.

La sua poesia sta tutta nel tempo, un grande tempo. Quello della memoria, perché «Il tempo poi dissolve le figure / ad una ad una nel vortice / degli anni rapinate, / contro il vuoto che ghiaccia / sangue e fiato / dentro l’aria le incidi / per l’eterno». Ma quello di Piersanti non è uno scavo nella memoria, perché in realtà le immagini, i colori, gli odori, sono sempre presenti, «Salgono le memorie / fitte alla gola» sospese in un senzatempo. Così è in questo suo ultimo bellissimo libro, Campi d’ostinato amore (Milano, La nave di Teseo, 2020, pagine 176, euro 19) dolcissimo, struggente, ma pure pieno di vita, in cui proprio il tempo è protagonista in quanto scrigno sempre aperto di storie che gli fanno dire «non sopporta la vita / spazi deserti / colma d’erba e foglie / ogni interstizio, / il tempo le dissolve / e le rinnova».

In tutta la sua opera il poeta ci ha abituati all’ascolto di un vissuto corale di figure schiette, autentiche (madri, padri, uomini in armi, fanciulli, ragazze) che stanno vivide nello sguardo, «volti nella mente infissi / (…) e poi così lontani, / lontani e persi, / nell’oscura veglia». Ma «se trovi una foto / è in bianco e nero» e stavolta infatti, Piersanti compie uno scarto deciso e vira diretto verso l’età più verde, «infanzia, eterna epifania», nell’occhio bambino dove tutto è stupore, meraviglia, e si fa mito.

«Una gracile memoria / invochi e preghi», lo sguardo dei bambini come è noto, è sempre molto serio, autentico. Nei loro occhi si fermano i fatti salienti, che non coincidono necessariamente con i macro-eventi, anzi, spesso ne sono il minimo controcanto. Così Piersanti canta le storie di una terra, la sua terra, le Cesane, i boschi, le fonti, i fossi. E gli animali, la serpe nera, gli armenti che si abbeverano, e ancora gli uomini, i partigiani, i soldati, i “neri”. Tutti elementi che si muovono in un orizzonte tangibile, vicinissimo. Questo è possibile anche grazie al tono “fattuale” e insieme eminentemente lirico del testo, in cui convive la rarefazione dell’immagine e la concretissima nominazione dettagliata della natura (Piersanti è da sempre un grande conoscitore del mondo botanico). Anche il verso nella sua forma, prende il tono del narrare infantile.

Per continuare a leggere: https://www.osservatoreromano.va/it/news/2021-01/quo-012/in-attesa-del-risveglio.html

Il Manifesto:
Un teatro d’ombre care e necessarie
Di Massimo Raffaeli

C’è una pianta che, improvvisa come un paradosso fuori stagione, fiorisce a febbraio tra le pietre antiche di Urbino, il ranuncolo giallo denominato favagello: è la griffe elettiva di un poeta tra i nostri maggiori, Umberto Piersanti, nato a Urbino ottanta anni fa proprio di questi giorni e a bordo di una lettiga, come ha molte volte raccontato, che scivolava sulla neve ghiacciata giù per la discesa di via Raffaello.

SE I NOMI DELLE PIANTE, per eredità pascoliana, sono il primo suo segnacolo, va appunto ricordato che la poesia di Piersanti nasce a propria volta sul principio degli anni Sessanta quale espressione lirica e vocazione al canto giusto nel momento di massima indigenza, hic et nunc, di ogni trattamento armonico/melodico per la sopravvenuta irruzione del Gruppo 63. Si potrebbe anzi dire, al riguardo, che con lui soltanto Dario Bellezza fra i coetanei abbia mantenuto un profilo di perfetta alterità rispetto al gusto allora dominante del sabotaggio linguistico-stilistico che talora sconfinava in posizioni di rigetto e di abiura della poesia stessa.

Esordiente con una plaquette dal titolo già intonato, La breve stagione (1967), e in capo a un decennio doppiata da un’altra addirittura topica, Il tempo differente (1974), Piersanti ha firmato complessivamente una decina di raccolte fino alla recente Nel folto dei sentieri (marcos y marcos 2015) e a quella che festeggia ora il più rotondo dei suoi compleanni, Campi d’ostinato amore (La nave di Teseo, «i Venti», pp. 159, euro 19), un libro, va subito detto, scritto nei modi che Adorno definiva dello «stile tardo», cioè uno stile capace di asciugare in via definitiva la maniera di un autore attingendo la assoluta essenzialità.

Perciò Campi d’ostinato amore, scandito in sei sezioni di testi databili all’ultimo quinquennio, prima che come una raccolta si configura come una ideale antologia sia pure composta di inediti, perché dentro, pari a un ultimo catalizzatore, c’è tutto quanto l’universo percettivo di Piersanti, il suo mondo tridimensionale e reale, ma parallelamente c’è il riflesso mitico o ideale di quel mondo medesimo, un teatro d’ombre che il tempo ha reso sempre più care e necessarie. Sono versi brevi, frontali, spezzati e di continuo ricomposti entro la misura di un sostanziale endecasillabo, essi non mutano mai eppure sono sempre differenti.

Per continuare a leggere: https://ilmanifesto.it/un-teatro-dombre-care-e-necessarie/

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