Auser e il suo impegno per promuovere l’invecchiamento attivo segnalata come buona pratica a livello internazionale.
L’OMS ha presentato con un evento online "Decade of Healthy Aging 2021-2030" (Decennio per l'Invecchiamento Sano), nel quale l’associazione Auser e le attività che svolge in tutta Italia per promuovere l’invecchiamento attivo, è indicata come buona pratica a livello internazionale per facilitare il raggiungimento degli obiettivi.
Auser saluta l’avvio del decennio 2021-2030 dell’Invecchiamento in Buona Salute, inaugurato dall’Organizzazione Mondiale della Salute con uno studio mondiale sulle condizioni di invecchiamento e buone pratiche cui hanno contribuito 100 differenti organizzazioni, con 350 studi di caso in 55 paesi in tutto il mondo. Fra questi anche l’Auser è stata indicata come un attore attivo nella costruzione di ambienti che favoriscano l’invecchiamento in buone condizioni di salute, valorizzando le competenze delle persone di ogni età e fornendo assistenza concreta al fine di soddisfare alcuni dei bisogni primari legati al sopraggiungere dell’età anziana.
“Lo studio ci aiuta a focalizzare quanto (e quanto poco!) sappiamo delle persone anziane e delle loro reali priorità” ha detto il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus. L’obiettivo di questo Decennio dell’Invecchiamento in Buona Salute è contribuire a fornire risposte concrete in un approccio olistico basato sia sulla cura e tutela delle persone anziane sia sulla costruzione di ambienti accoglienti che ne favoriscano la partecipazione in società eque e inclusive.
Ciò che si sta constatando è la necessità di disporre di molti più dati in forma disaggregata, con spaccati per precise fasce di età, che aiutino a ricostruire ed articolare una visione condivisa di invecchiamento in salute, e che diano la possibilità di confrontare le situazioni di differenti paesi, individuando dove si trovino attualmente e quali miglioramenti possono aspettarsi nei prossimi 10 anni. Lo studio ha evidenziato i progressi fatti nei diversi paesi, secondo 10 indicatori utili a inquadrare la tematica, mostrando al tempo stesso come tali sforzi non siano però omogenei e come la velocità dei processi di miglioramento non sia sufficiente in relazione alle sfide che vengono poste alle nostre società dagli attuali tassi di invecchiamento.
"Questo report servirà come riferimento utile rispetto al quale potremo promuovere l'apprendimento in tutti i Paesi e misurare i progressi verso un invecchiamento in buona salute durante il prossimo decennio - ha detto la dottoressa Ritu Sadana, autrice principale del report e capo dell'Unità Invecchiamento e Salute dell'OMS -. Continueremo a lavorare con i governi, con le altre organizzazioni delle Nazioni Unite, con la società civile e gli esperti mondiali per migliorare le evidenze e le informazioni su tutti gli aspetti dell'invecchiamento in buona salute e per promuovere un effetto duraturo nei paesi. Avere a disposizione una maggiore quantità di dati da comparare ci consentirà di determinare chiaramente il livello di progresso compiuto e di identificare le aree in cui è necessaria ulteriore attenzione".
Il contesto in cui è presentato questo report è l'impegno dell'OMS - e del più ampio sistema delle Nazioni Unite - a implementare gli sforzi per migliorare la vita delle persone anziane nel decennio 2021-2030 delle Nazioni Unite recentemente designato. L'OMS pubblicherà relazioni sui progressi nel 2023, 2026 e 2029.
Sulla piattaforma Zoom oggi 21 dicembre, a partire dalle 16 fino alle ore 18,
Una lunghissima vita che ha sfiorato il secolo, quella di Vittorio Foa (Torino 1910, Formia 2008) e anche molto varia e impegnata: politico, sindacalista, giornalista, storico e saggista. Anche la militanza politica ha avuto molte tappe a cominciare dall’adesione a Giustizia e Libertà, nel 1933, condannato al carcere come antifascista, prese parte alla Resistenza e aderì al Partito d’Azione per il quale fu eletto all’Assemblea Costituente, allo scioglimento del P.d’A. passò nelle file del PSI, nel quale rimase fino alla scissione del PSUP nel 1963. Fu un punto di riferimento per la sinistra al di là delle sigle e delle formazioni, fino all’adesione al Partito Democratico nel 2007.
La discussione “In ricordo di Vittorio Foa”, si terrà sulla piattaforma Zoom lunedì 21 dicembre, a partire dalle 16 fino alle ore 18, e parte dalla riflessione su due pubblicazioni fresche di stampa: Vittorio Foa tra politica, sindacato e storia (Biblion Edizioni), su Rivista Storica del Socialismo, numero 1-2020, curata da Andrea Ricciardi; Vittorio Foa. Note per una biografia (Raineri Vivaldelli, Torino, 2020) di Antonio Bechelloni.
Introdurrà e condurrà la discussione Valdo Spini presidente della Fondazione Circolo Rosselli, che l’ha promossa, parteciperanno gli autori delle pubblicazioni Antonio Bechelloni, docente all’Université de Lille e Andrea Ricciardi, docente all’Università degli Studi di Milano; inoltre interverranno il professor Alessandro Giacone dell’Università di Bologna e le figlie di Vittorio, la professoressa Anna Foa dell’Università La Sapienza di Roma e Bettina Foa economista, funzionaria dell’Unione Europea.
Il link al meeting su Zoom:
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e Facebook: https://www.facebook.com/FondazioneCircoloRosselli/?ref=bookmarks
Ricercatori dell’Istituto per la microelettronica e i microsistemi (Imm) del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma, in collaborazione con colleghi della statunitense Johns Hopkins University, hanno realizzato un biosensore in grado di identificare un nuovo indicatore glicemico per la rilevazione della patologia, fornendo così un metodo di rilevazione precoce e alternativo rispetto ai sistemi tradizionali. Il sensore, descritto sulla rivista Advanced Healthcare Materials, sfrutta le potenzialità di una matrice disordinata di nanofili di silicio rivestiti di argento
In alcune persone affette da anemie, insufficienza renale o patologie legate alla sintesi dell’emoglobina nel sangue (emoglobinopatie), la rilevazione del diabete mellito mediante la tradizionale tecnica del prelievo di gocce di sangue può rappresentare un problema. Nasce così, dall’esigenza di implementare nuovi strumenti diagnostici da impiegare in tutti quei casi in cui non è possibile misurare la tradizionale emoglobina glicata (HbA1c), l’innovativo biosensore messo a punto da ricercatori dell’Istituto per la microelettronica e i microsistemi (Imm) del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma, in collaborazione con colleghi del Department of Mechanical Engineering della Johns Hopkins University (Baltimora, Usa).
L’importante risultato è pubblicato sulla rivista Advanced Healthcare Materials: tale sensore, caratterizzato da elevata sensibilità e selettività, permette l’identificazione di un nuovo indicatore glicemico, l’albumina glicata (Ag), sfruttando le potenzialità di una matrice disordinata di nanofili di silicio rivestiti di argento.
“L’applicazione biomedica dei nanomateriali in ambito diagnostico è una delle più grandi novità scientifiche degli ultimi anni: grazie all’intrinseca capacità di interagire su scala nanometrica con sistemi biologici - quali ad esempio virus, batteri, cellule, proteine e Dna- i nanomateriali sono capaci di “catturare” e tradurre informazioni chimico-fisiche non rilevabili attraverso una diagnostica tradizionale”, spiega Annalisa Convertino (Cnr-Imm), tra i firmatari dello studio. “Se utilizzati come sensori, hanno le potenzialità di individuare nei fluidi biologici la presenza di molecole marcatrici o frammenti di DNA in concentrazioni molari molto basse, favorendo così l’elaborazione di nuove metodologie per una diagnosi precoce delle malattie e per l’individuazione e la valutazione di terapie farmacologiche personalizzate”.
Negli ultimi anni l’albumina glicata è emersa come un valido indicatore glicemico alternativo estremamente utile non solo in presenza di patologie ematologiche, ma anche nell’analisi e nel controllo dei cambiamenti rapidi della glicemia, ad esempio dopo l’inizio o la modifica di una terapia.
Mussi e Luca Maiolo per Cnr-Imm, e da Ishan Barman e Debadrita Paria per la Johns Hopkins University.
“Il biosensore sfrutta la sinergia tra la ridotta dimensionalità dei nanofili e la loro disposizione disordinata. In questo modo infatti, da un lato le biomolecole di albumina glicata contenute in un campione biologico sono efficacemente intrappolate nella matrice di nanofili, dall'altro si aumenta l’interazione del campo elettromagnetico presente tra le nanostrutture e le biomolecole, amplificando così la risposta del biosensore”, aggiunge le ricercatrice.
I risultati della ricerca aprono la strada ad una metodologia diagnostica del diabete mellito rapida, predittiva ed utilizzabile in tutti quei casi per i quali non è possibile applicare la diagnostica tradizionale.
Il lavoro è stato supportato, per la parte italiana, dal progetto congiunto “Scalable nano-plasmonic platform for differentiation and drug response monitoring of organ-tropic metastatic cancer cells” (US19GR07) finanziato dal Ministero degli affari esteri e della collaborazione internazionale (Maeci) nell’ambito de Programma di cooperazione scientifica e tecnologica Italia-Usa 2019-2021.
Domenica 20 dicembre alle 9,15 circa e in replica venerdì 18 dicembre alle 24,55 In onda su RAI2 una nuova puntata di O ANCHE NO, il programma sull'inclusione e la diversa abilità realizzato con RAI PER IL SOCIALE.
Paola Severini Melograni intervisterà Luca Milano, direttore di Rai Ragazzi che ci presenta Lampadino e Campanella, il primo ed unico cartone animato accessibile andato in onda dal 29 marzo su RaiPlay e su RaiYoYo.
Una straordinaria esibizione di Katia Ricciarelli, che con Francesco Zingariello, il grande tenore uscito dall'Accademia Lirica dell'attrice, interpretano l'Ave Maria di Schubert.
Non mancherà il classico appuntamento con il cooking show inclusivo. In questa puntata saremo ad Anzio, sul litorale laziale, all'istituto alberghiero Apicio - Colonna Gatti.
E poi come sempre "Sbrockkati" i nostri Ladri di Carrozzelle, i "disegni"di Stefano Disegni, Rebecca Zoe De Luca con le notizie dal mondo dell'adolescenza e il “prestigiattore” Andrea Paris.
O ANCHE NO è scritto da Maurizio Gianotti, Giovanna Scatena e Paola Severini Melograni . La regia è di Davide Vavalà.
I quartieri-ghetto e i campi nomadi non dovrebbero esistere in una società civile, moderna ed evoluta. Il ghetto sancisce un'appartenenza e una condizione sociale che si imprime nella coscienza collettiva definendo di fatto una cittadinanza di serie A e una cittadinanza di serie B, i campi nomadi sanciscono addirittura una cittadinanza serie Z (zingari, con un carico dispregiativo). In pratica si stabilisce una classificazione sociale che spesso diventa razziale essendo che nei ghetti e nei campi nomadi vengono destinati stranieri e cittadini indesiserati come i rom e sinti.
Il ghetto o il campo nomade diventa luogo per esseri umani declassificati e per le fascine sociali deboli con tutto ciò che questo comporta a livello sociale, culturale, economico e politico. Chi abita nel ghetto o nel campo nomadi viene etichettato e ha molte più difficoltà nell'inserimento scolastico, sociale ed economico. Spesso l'interazione delle fascie deboli avviene solo nel loro interno creando di fatto un circolo vizioso e fenomeni sociali deviati.
Da parte delle istituzioni gli interventi sono quasi sempre a carattere assistenziale che influisce molto anche a livello morale e psicologico con conseguenze sul piano dell'autostima e della rassegnazione. La disillusione diventa così nemica della società civile. È facile nel ghetto o nel campo nomadi acquisire la sindrome da ghetto che favorisce devianza, bullismo, violenza. In questi non luoghi si creano economie di sopravvivenza a discapito della società civile.
Ogni essere umano avrebbe diritto ad un alloggio non etichettato. Andrebbero incoraggiati lo studio e la formazione, le attività ludiche e sportive, gli eventi artistici e culturali, ma soprattutto andrebbero sostenute e agevolate il lavoro e le attività economiche. Tutto ciò eviterebbe che il ghetto o il campo nomadi diventasse un ricettacolo di attività illegali da cui è difficilissimo sottrarsi.
Il ghetto, e ancor di più il campo nomadi, sempre più giustifica una costante attività di supremazia sui più deboli a tutela esclusiva dei più forti e delle classi più abbienti, facilitando lo sciacallaggio attraverso il becero assistenzialismo. In sostanza il ghetto e il campo nomadi sono espressioni di egoismo allo stato puro e prevaricazione di ogni diritto minimo di sicurezza e di sopravvivenza, espressione di arroganza e di prepotenza che inevitabilmente viene restituita dalle vittime alla società civile come un fatale boomerang. Il ghetto e sempre più il campo nomadi sono i non luoghi o pattumiere sociali che stabiliscono la linea di confine fra la civiltà e l'esclusione.
Il ghetto e il campo nomadi imprimono una disparità sociale da superare e sottolineano un limite culturale prima che socio-politico. Evidenziano di fatto una situazione o condizione tale da circoscrivere e limitare lo sviluppo dell'attività delle persone o gruppi specifici e ne dequalifica l'incidenza sociale.
I campi nomadi sono forme orrende di segregazione razziale indegni di un Paese civile, espressione di un classismo antidemocratico e antisociale che andrebbero evitati e superati a vantaggio di tutta la collettività. Si spendono miliardi e miliardi di euro per assurdi armamenti ma non si spende abbastanza o si risparmia sulla pelle di cittadini inermi a cui arrivano solo progetti fasulli e inutili nonostante i milioni di euro sperperati. Le leggi razziali, abrogate nella legislazione, sembrano essere ancora in vigore nella testa e nel cuore di troppi amministratori e di tanti politici corrotti. Sono soprattutto rom e sinti a pagarne le conseguenze sotto lo sguardo indifferente dell'opinione pubblica che viene lasciata nella più completa disinformazione.
I politici e le istituzioni sono al corrente ma fanno orecchie da mercanti.
Eppure con poco si potrebbe fare tanto a vantaggio di tutti, purtroppo manca una reale volontà politica e istituzionale per superare questa situazione.
Stare a casa, ma non soli: non è per niente facile ma ci sono piccole cose che si possono fare per sentirsi parte di un gruppo, di un progetto. Questa la riflessione di Auser Savona che per Natale ha provato a interpretare questa esigenza con una nuova iniziativa.
“Ricordate la filastrocca Il Pianeta degli Alberi di Natale di Gianni Rodari? A cento anni dalla nascita di quel grande Maestro, cento piccoli alberi di Natale sono stati affidati a tante persone anziane che li hanno fatti belli, colorati, luccicanti; e hanno costruito palline e addobbi per un albero più grande. Soprattutto donne, come potete immaginare. Ciascuna a casa propria, per essere prudenti, hanno costruito qualcosa tutte insieme”, spiega Anna Giacobbe presidente di Auser Savona.
Gli alberelli sono esposti, da lunedì 14 dicembre in una vetrina in via Paleocapa 4, che Opere Sociali NS di Misericordia ha gentilmente messo a disposizione. Alla vigilia di Natale gli alberelli saranno donati agli ospiti della Residenza “Bagnasco”, con la collaborazione di Opere Sociali Servizi S.p.A.
Così di mano in mano i cento alberelli decorati con fantasia e creatività daranno un senso a questo Natale e faranno sentire tante persone meno sole.
Debutta “Favole ad alta voce” il progetto ideato dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e da RTL 102.5 per riscoprire la magia della lettura ad alta voce, per trasportare tutti i bambini verso mondi magici in questo Natale così particolare, segnato dall’emergenza COVID-19, perché ogni bambino possa avere il diritto di sorridere e di sognare. Si tratta di una serie di storie originali raccontate dalle voci di RTL 102.5 e dai personaggi del mondo dello spettacolo che si fanno interpreti di fantastiche avventure da vivere ovunque ci si trovi.
Le prime favole della serie sono disponibili da oggi sui canali social e sui siti web del Bambino Gesù www.ospedalebambinogesu.it e di RTL 102.5 www.rtl.it. Ogni storia può essere letta e ascoltata ed è corredata da tante illustrazioni per coinvolgere anche i più piccoli. Le favole saranno poi raccolte in un libro che verrà donato il giorno di Natale ai piccoli ricoverati dell’Ospedale Pediatrico della Santa Sede.
Gli ascoltatori di RTL 102.5 e tutte le persone - piccoli e grandi - a cui piace scrivere potranno diventare protagoniste dell’iniziativa scrivendo un racconto che potrà essere selezionato per diventare una “Favola ad alta voce”. Le informazioni per partecipare al contest sono disponibili sul sito www.rtl.it.
Il progetto di Natale del Bambino Gesù con RTL nasce dall’idea di unire attraverso la lettura in un periodo in cui la distanza è d’obbligo: una storia letta ad alta voce non solo è capace di incantare i bambini, di accendere emozioni e fantasia, ma diventa un momento privilegiato di condivisione, genitori e figli, che rafforza il legame e stimola la crescita. Un bambino abituato quotidianamente all’ascolto di letture, infatti, svilupperà più facilmente il linguaggio, sarà più curioso, avrà voglia di imparare a leggere e avrà migliori tempi di attenzione proprio perché abituato ad ascoltare.
Il ministro per lo Sport e le Politiche Giovanili, Vincenzo Spadafora, ha presentato in diretta live il nuovo sito GIOVANI2030, promosso dal Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale per le ragazze e i ragazzi.
La nuova piattaforma sarà operativa da marzo 2021 per offrire notizie, approfondimenti sul volontariato, formazione, cultura, e sport. con l’ambizione di raccontare, in modo semplice e immediato, le opportunità per gli under35 italiani. Una nuova iniziativa che si spera possa superare l’autoreferenzialità e il paternalismo insito all’interno delle politiche per i giovani di questo Paese, sempre più vecchio e devastato dal fenomeno del brain drain.
Nel contesto della crisi sanitaria ed economica esplosa nel 2020, la mobilità e l’incidentalità stradale hanno subito cambiamenti radicali, con possibili effetti anche nel prossimo futuro. Tra gennaio e settembre 2020 si registrano 90.821 incidenti con lesioni a persone, -29,5% sul 2019.
Nel contesto della crisi sanitaria ed economica esplosa nel 2020, la mobilità e l’incidentalità stradale hanno subito cambiamenti radicali, con possibili effetti anche nel prossimo futuro. Come atteso, nel periodo gennaio-settembre 2020 si rileva un decremento, mai registrato prima, di incidenti stradali e infortunati coinvolti. Il periodo di lockdown imposto dai decreti governativi per contenere la diffusione dei contagi ha determinato il blocco quasi totale della mobilità e della circolazione da marzo a maggio inoltrato, influendo in maniera determinante sul fenomeno dell’incidentalità stradale.
È quanto evidenzia l’Istat che oggi ha pubblicato la stima preliminare del periodo gennaio-settembre 2020, periodo che registra, appunto, una forte riduzione del numero di incidenti stradali con lesioni a persone (90.821, pari a -29,5%), del numero dei feriti (123.061, -32,0%) e del totale delle vittime entro il trentesimo giorno (1.788, -26,3%). “Se si limita l’osservazione al periodo gennaio-giugno 2020 – precisa l’Istat – le diminuzioni sono più accentuate, pari a circa il 34% per le vittime e a quasi il 40% per incidenti e feriti. Nel trimestre luglio-settembre 2020 l’incidentalità è in ripresa, con cali più contenuti rispetto allo stesso periodo nel 2019. La diminuzione delle vittime riguarda tutti gli ambiti stradali: nei primi nove mesi dell’anno è stimata pari a circa il 50% sulle autostrade, tra il 40 e il 44% su strade urbane ed extraurbane.
Con riferimento agli obiettivi europei 2010-2020 per la sicurezza stradale, sebbene la drastica diminuzione delle vittime nel 2020 avvicini l’Italia al target del -50% prefissato, ciò non consente di leggere con accezione positiva i traguardi raggiunti. Il radicale calo della mortalità nei periodi di confinamento della popolazione e blocco della circolazione hanno condotto a una diminuzione forzata di incidenti e vittime, non legata a comportamenti virtuosi e al miglioramento della sicurezza stradale. In termini percentuali, nei primi nove mesi del 2020 il numero di morti scende del 43,1% rispetto al 2010 e del 66,4% nel confronto con lo stesso periodo del 2001. Nel primo semestre 2020, le percorrenze medie annue sono diminuite del 37% rispetto allo stesso periodo del 2019 sulle autostrade in concessione e del 32% sulla rete extraurbana principale, mentre le prime iscrizioni di autovetture si sono ridotte del 43%. I mesi estivi hanno visto una ripresa sia della mobilità sia del mercato auto, sostenuto dagli incentivi.
Se si estende l’osservazione fino a settembre, le percorrenze medie sulle strade extraurbane principali risultano in calo del 23%, le prime iscrizioni di autovetture nuove di fabbrica subiscono una contrazione del 33%. Come accaduto in Italia, anche nella maggior parte dei Paesi europei sono state adottate misure restrittive e chiusure totali nel corso del 2020. Dai dati diffusi dall’European Transport Safety Council (ETSC), riferiti ai decessi registrati nel mese di aprile 2020 in 24 Paesi della Ue, al culmine della prima ondata della pandemia, si registra una diminuzione media di mortalità del 36%, valore senza precedenti se si pensa che i decessi nella Ue28 sono diminuiti del 24% nel decennio 2010-2019. Secondo i primi dati disponibili, la riduzione più alta dei morti in incidenti stradali nel mese di aprile 2020 è stata registrata proprio in Italia, seguita da Belgio, Spagna, Francia e Grecia, tutti con un decremento percentuale maggiore del 55%”.
Articolo: panoramasanita.it
La candidatura di Antonella Bellutti alla presidenza del Comitato Olimpico Nazionale è una grande sfida in un mondo maschilista ed estremamente conservatore
Il Coni dal 1914, anno della sua fondazione, non ha mai avuto una Presidente. Nello sport lo strapotere maschile è un fatto assodato e quindi la notizia della candidatura di Antonella Bellutti alla presidenza del Comitato Olimpico Nazionale, è prima di tutto una grande sfida che questa donna, con coraggio, ha deciso di intraprendere. Sappiamo quanto sia faticoso per qualsiasi donna rompere quel soffitto di cristallo che ostacola da sempre le donne, quell’insieme di barriere sociali e culturali che si frappone per conseguire la concreta possibilità di emergere e assumere la leadership in luoghi e istituzioni da sempre appannaggio degli uomini e storicamente intrisi di stereotipi di genere. Ma nello sport forse lo è ancora di più perché il mondo dello sport è maschilista ed estremamente conservatore, basti pensare al fatto che non ci sono limiti di mandato per tentare di svecchiare il sistema e favorire il ricambio generazionale oltre che quello di genere: nelle federazioni sono presenti presidenti che ne sono alla guida da cinque legislature.
Antonella Bellutti ha deciso di dare la sua disponibilità a candidarsi anche per questo: per portare un nuovo metodo di gestione nel mondo sportivo, per liberarlo da logiche di burocrazia, di potere e di strumentalizzazione che lo tengono imbrigliato, libero da pregiudizi e stereotipi e per cercare di guardare al futuro dello sport con una visione più ampia e rinnovata. Questa sportiva è stata un’eccellenza nel panorama dello sport italiano e olimpico: unica donna al mondo ad aver vinto due ori olimpici in due edizioni consecutive e in due specialità diverse della stessa disciplina, il ciclismo. Ma non è solo quello che la rende una figura adatta a ricoprire quella carica: insegnante, preparatrice atletica, giornalista, scrittrice, direttrice tecnica, Bellutti è da sempre impegnata nella promozione e nella difesa dei diritti delle donne, delle persone Lgbtqia e delle atlete e degli atleti diversamente abili. Ed è lei stessa, durante la conferenza stampa in cui ha presentato la sua candidatura, a mettere in risalto queste sue caratteristiche che sono un valore aggiunto per chi si propone di guidare l’Ente a cui sono demandati l’organizzazione e il potenziamento dello sport nazionale e che promuove la massima diffusione della pratica sportiva: «Sono molto fiera di affrontare questa candidatura da donna, atleta,vegana, componente della comunità Lgbt+- dice Bellutti- e con le mie tante “diversità” vorrei rappresentare un esempio da accogliere, non da tollerare, utile per uno sport inclusivo capace di esprimere il suo enorme valore in favore di tutte e tutti, nessuno escluso! Mi piacerebbe che la mia candidatura servisse anche a dare forza e visibilità alle tante attiviste ai tanti attivisti che ogni giorno si impegnano per i diritti».
Non c’è che dire, sarebbe un bel cambiamento, se venisse eletta, in un mondo predominato da logiche maschiliste e discriminatorie. In un Paese che sta cambiando e dove a mano a mano piccoli pezzi di cristallo di quel soffitto stanno cedendo e vediamo eleggere per la prima volta donne in luoghi fino ad ora ad esclusiva egemonia maschile: alla Sapienza di Roma, Antonella Polimeni, a Vice Capo della Polizia di Stato, Maria Luisa Pellizzari, all’Avvocatura Generale dello Stato, Gabriella Palmieri Sandulli, a Capo della Procura di Torino, Anna Maria Loreto, e tante altre, il mondo dello sport sembra ancora impermeabile a questo cambiamento. Per questo tifiamo perché ce la faccia, sarebbe un bel modello per le bambine, le ragazze e le giovani: potranno finalmente realizzare che anche quel mondo non è precluso alle donne.
di Laura Onofri per noidonne.org/
Il Telefono Giallo è il servizio di consulenza a distanza di Bambinisenzasbarre per i bambini figli di genitori detenuti e le loro famiglie, perché siano sostenuti in questo periodo in cui non possono incontrarsi.
In Italia sono 100mila i bambini che hanno la mamma o il papà in carcere: 100mila figli che corrono un alto rischio di interrompere il legame affettivo con il proprio genitore e di essere quindi maggiormente coinvolti in fenomeni di abbandono scolastico, disoccupazione, disagio sociale e illegalità. Si stima che, senza un’adeguata tutela di questa relazione, il 30% dei figli di detenuti sia a rischio di diventare detenuto a sua volta (Federazione dei Relais Enfants Parents, Parigi).
Negli ultimi mesi la pandemia di Covid-19 ha reso più forte ed evidente il distacco dovuto alla detenzione: dall’inizio dell’emergenza sanitaria, infatti, bambini e ragazzi non sono più potuti entrare in carcere per far visita alla madre o al padre.
Per questo Bambinisenzasbarre Onlus, che dal 2002 si impegna per tutelare il diritto dei figli dei detenuti al mantenimento del rapporto con il genitore, ha potenziato il Telefono Giallo, la linea di supporto dedicata ai familiari di coloro che si trovano in carcere. Da sempre attivo per gli adulti, ora lo è anche per i bambini figli dei detenuti, e rappresenta quindi un prezioso strumento a disposizione dell’intera famiglia in questo momento di disorientamento causato dalla sospensione dei colloqui in presenza. Per sostenere il servizio, l’associazione lancia una campagna di raccolta fondi, alla quale è possibile contribuire con una donazione tramite il sito
attivati.bambinisenzasbarre.org.
La linea telefonica è attiva dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 18 al numero 392 9581328; è inoltre sempre possibile scrivere all’indirizzo mail This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it..
“È una possibilità per i familiari di non sentirsi soli e di ragionare insieme a specialisti sulle risposte da dare alle difficili domande che ogni giorno i figli pongono e per i bambini, spesso già emarginati e vittime di pregiudizi a causa della loro situazione, di costruire una comunità virtuale con scambio di bisogni e consigli” afferma Lia Sacerdote, la presidente e responsabile scientifica dell’Associazione. Grazie al Telefono Giallo Bambinisenzasbarre può continuare, a distanza e nel rispetto delle limitazioni imposte dalla pandemia, il lavoro di accoglienza, ascolto, interazione ed attenzione che svolge solitamente negli Spazi Gialli: luoghi pensati per aiutare i bambini che entrano negli istituti penitenziari ad affrontare con maggiore consapevolezza la difficile esperienza del carcere e della detenzione di un genitore.
Chiamando la linea telefonica, infatti, i più piccoli possono raccontare paure, dubbi, emozioni e bisogni, ricevere consigli, confrontare la loro esperienza con quella degli altri figli di detenuti.
La linea telefonica continua inoltre a offrire ascolto, assistenza, informazioni pratiche e sostegno piscologico anche ai familiari adulti, supportandoli nel trovare le risposte più adatte alle difficili domande che ogni giorno i figli pongono sulla separazione dal genitore, e che in questo momento di emergenza sanitaria è ancora più delicato affrontare. Fornisce inoltre consulenza a operatori sociali, penitenziari e del Terzo Settore sui temi della tutela e del mantenimento della relazione figli-genitori detenuti.
Il Telefono Giallo e gli Spazi Gialli si inseriscono nel “Sistema Giallo”, l’intervento olistico che declina il “carcere alla prova dei bambini” e che ha trovato la sua formalizzazione nella Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti. La Carta, unica in Europa, applicata nelle carceri italiane, firmata il 21 marzo 2014 dal Ministro della Giustizia, dall’Autorità Garante per l’Infanzia e per l’adolescenza e da Bambinisenzasbarre e rinnovata a novembre 2018, è stata accolta come riferimento guida per la Raccomandazione dei 47 Paesi del Consiglio d’Europa nell’aprile del 2018.
Condividiamo la recensione scritta da Monica Leggeri del libro Irene Sta Carina – Una vita a metà di Anna Claudia Cartoni.
Leggere questo libro è come scalare una montagna, con fatica e quel senso di peso e mancanza di respiro, che ti prende quando il sentiero è impervio e sconosciuto. È entrare nel vivo, nella vita di Anna Claudia e Fernando stravolta, dall’arrivo della piccola Irene. “Iron”: per tutte le battaglie che dovrà affrontare. Fragile ma allo stesso tempo attaccata alla vita con una forza infinita.
«C’è un problema», così inizia il libro di Anna Claudia. Una frase pronunciata in gravidanza dal suo ginecologo. Una frase che fa cadere sulla vita della coppia un macigno. La piccola Irene ha un problema: una malformazione addominale che richiede alla nascita un delicato e pericoloso intervento chirurgico. Lei non è ancora nata ma già inizia questa storia che lega madre e figlia in un percorso di ansie, paure, dolore e di tanta misteriosa profonda complicità.
Gli ostacoli però non si esauriscono nel primo difficilissimo intervento: a nove mesi dalla nascita Irene ha un drammatico arresto cardiaco che fa di nuovo sprofondare tutto e tutti in un tunnel buio e faticoso.
Sono pagine coinvolgenti e drammatiche, piene di emergenze continue, di corse frenetiche che non danno il tempo per riposare e godere un po’ dell’arrivo di una figlia. I primi due anni di vita di Irene sono trascorsi tra diversi reparti di terapia intensiva: «Vivere in un reparto di terapia intensiva fa sentire più vicino alla morte, perché lei è sempre lì con te… si galleggia in un limbo fluttuante tra una “non vita” e una “non morte”». Il reparto diventa anche una seconda casa, “un grembo materno” una casa che accoglie, con tutti i grandi dolori che accompagnano la vita dei suoi piccoli pazienti e delle loro famiglie.
L’eccitazione e la gioia per la nascita di un figlio non riguardano Anna e Fernando. I primi mesi sono pieni di preoccupazioni e paure per ciò che è caduto addosso alla piccola e alla loro vita. Soltanto una frase li fa respirare un pochino in quei due anni, ed è quella con cui, a volte, li accolgono la mattina gli infermieri e medici dei reparti, al loro ingresso in ospedale: «Irene sta carina». Una frase che gli fa riprendere fiato, perché vuol dire che le notizie per quel giorno non sono cattive. È coraggiosa e sincera Anna Claudia a tirare fuori tutto l’amore, la sofferenza e il dolore che passa da Irene a lei, e viceversa. Ma come lei stessa dice «di dolore non si muore». E insieme al papà, combattono tante battaglie, affrontano tante sfide, riconsolati dal sorriso luminoso di Irene che li accoglie ogni giorno di quei lunghi anni. Per Anna stringere tra le braccia Irene è l’unico momento in cui si sente in pace con se stessa e con il mondo. In quell’abbraccio «ogni pensiero sulla disabilità si scioglie come la neve al sole… imparo da Irene a vivere concentrandomi solo sul presente».
Non ha paura questa mamma ad affrontare anche difficili questioni morali sulla vita e il senso che questa debba avere per i figli con gravi patologie e per le famiglie chiamate ad accudirli. Si interroga Anna Claudia su un altro possibile futuro con onestà e coraggio: se avesse saputo della drammaticità della situazione, avrebbe continuato la gravidanza? Allo stesso tempo si chiede se il sistema sanitario non sia troppo concentrato sul risultato clinico di un intervento delicato, non informando a sufficienza i genitori sulla qualità della vita del dopo. «Spesso mantenere in vita non è sinonimo di dare la vita».
Ma la sua esperienza non è stata inutile: Anna Claudia da qualche anno viene coinvolta in incontri mensili nel reparto di terapia intensiva che ha seguito Irene; chiamata ad esprimere un parere su un caso o su un altro, su una cura e su un’altra di piccoli pazienti, chiamata dai medici che vogliono aggiungere il parere di un genitore, alle riflessioni tecniche e mediche.
Il libro è anche una accusa al sistema burocratico, della nostra società, che ruota attorno alla disabilità e il più delle volte la ostacola; una burocrazia fatta da tutti quei cavilli che impediscono la piena realizzazione di una vita dignitosa. Diritti negati, lotte estenuanti per farli rispettare, file e attese lunghissime in uffici per ottenere qualche piccolo aiuto alla complicata vita di una famiglia con disabilità. L’integrazione scolastica, ben chiara sulla carta, è affidata, spesso, solo alla buona volontà delle singole insegnanti, a volte neanche formate per un lavoro così impegnativo.
Questo e tanto altro è racchiuso in questo piccolo grande libro, coraggioso, forte e pieno di sofferenza ma anche di tanto amore. Come quello che ha fatto abbracciare a Anna e Fernando una nuova sfida: portare Irene con tutte le sue difficoltà in montagna, un ambiente che i suoi genitori amano molto. Grazie alla scoperta di uno strano attrezzo, la Joelette, Anna e Fernando possono condividere con la loro Irene, l’ebbrezza «del vento in faccia, della velocità». Con questo strano mezzo sfidano la montagna, partecipano alla Corsa di Miguel, grazie al coinvolgimento e all’aiuto di tanti atleti che si avvicendano per spingere questa “carrozza” di Irene e di tanti altri ragazzi con gravi patologie, per renderli partecipi un pochino «della vita degli altri».
Irene sta carina nasce dalle pagine del diario che Anna Claudia ha voluto scrivere in quei primi due lunghissimi anni, per trattenere tutti i ricordi felici e dolorosi. E il risultato è coinvolgente: sono pagine piene di momenti di ansia, dolore, sofferenza, e anche gioia (il momento di tornare a casa). E a chi legge sembra di essere lì con loro.
Paradossalmente il libro è un inno alla vita, anche per chi la vita sembra viverla solo “a metà”, per tutto quello che non ha e non può avere; Anna Claudia e Fernando hanno dato e donano ad Irene tutti i giorni «l’altra metà della vita». Consapevoli probabilmente che, come diceva Luciano De Crescenzo, «siamo angeli con un ala sola e possiamo volare solo restando abbracciati».
Per noi genitori la tentazione, nel guardare la vita “degli altri”, è spesso quella di cercare quello che non si ha, e quello che i nostri figli più fragili non potranno essere o avere, rispetto ai propri coetanei e noi genitori rispetto agli altri; questo libro ci insegna a guardare “la metà” della vita che si ha, e che è forse la metà più vera e importante. Quella metà conquistata con tanti sacrifici, lotte e percorsi tortuosi che però ti fa sorridere per cose semplici; un sorriso, un respiro che non è più affannoso, una giornata passata senza intoppi.