Lo rivela il nuovo Dementia Monitor Europeo 2020. Il rapporto è stato redatto da Alzheimer Europe.
Aprile 2021 – A 3 anni dalla pubblicazione del rapporto “European Dementia Monitor” Alzheimer Europe - organizzazione che riunisce 37 Associazioni Alzheimer in Europa, tra cui la Federazione Alzheimer Italia - lancia l’edizione 2020 per presentare un aggiornamento su come i paesi europei stanno gestendo la sfida alla demenza, esaminare i cambiamenti e i progressi ma anche gli eventuali passi indietro per meglio indirizzare le nazioni nell’identificare iniziative e azioni che possano migliorare la qualità della vita delle persone con demenza e i loro familiari.
I 36 paesi coinvolti nell’indagine sono stati valutati in base a 10 differenti parametri suddivisi in 4 macro aree – Assistenza, Ricerca, Politiche sociali, Aspetti legali - per arrivare a una classifica finale stilata sulla base dei risultati ottenuti dagli stati nelle singole categorie, ciascuna dei quali contribuisce al 10% del punteggio totale. Al primo posto si posiziona la Svezia con un punteggio complessivo del 71,8%, seguita da Regno Unito (Scozia 70,9% e Inghilterra 68,4%), e Belgio (67,2%).
L’Italia, da metà classifica, sale al 10° posto con un punteggio di 62,9%, +10% rispetto alla precedente indagine. Chiudono la classifica tre paesi dell’est: Bosnia-Erzegovina (24,7%), Polonia (22,8%) e Bulgaria (19,5%).
Il nostro paese registra un miglioramento in quasi tutte le categorie prese in esame, ottenendo il punteggio pieno in due, nello specifico nel riconoscimento dei diritti legali delle persone con demenza e dei loro familiari e nella partecipazione alle iniziative europee di ricerca sulla demenza; in generale, dimostra una grande attenzione per gli aspetti sociali e per la tutela dei diritti, grazie anche a iniziative come le Comunità Amiche delle Persone con Demenza realizzate dalla Federazione Alzheimer Italia.
Sul fronte del riconoscimento della demenza come priorità nazionale, il Monitor non registra la grande novità italiana dello scorso dicembre che ha visto l’approvazione da parte della Commissione Bilancio della Camera dell’emendamento alla legge di bilancio 2021 che prevede un finanziamento di 15 milioni in 3 anni per il Piano Nazionale Demenze e l’ufficializzazione del “Tavolo di monitoraggio dell’implementazione del Piano Nazionale per le Demenze (PND)”, che ora potrà trasformare in azioni concrete gli obiettivi del Piano stesso.
A fronte di alcuni significativi passi avanti, il nostro paese si conferma ancora indietro sugli aspetti legati alla disponibilità di servizi di assistenza e alla loro accessibilità: in particolare, viene registrata ancora una grande carenza nelle cure domiciliari, nell’assistenza diurna e nelle strutture residenziali. In aggiunta a questo, più del 50% dei costi di accesso ai servizi sono totalmente a carico delle famiglie, e ancora insufficienti sono i finanziamenti pubblici.
L’indagine ha coinvolto 36 tra Stati membri dell'Unione europea, Bosnia-Erzegovina, Islanda, Israele, Jersey, Norvegia, Regno Unito (Inghilterra e Scozia), Svizzera, e Turchia. Ecco nel dettaglio le 10 categorie prese in esame:
- disponibilità di servizi di assistenza
- accessibilità dei servizi di assistenza
- rimborso dei medicinali
- disponibilità di studi clinici
- coinvolgimento della nazione nelle iniziative europee di ricerca sulla demenza
- riconoscimento della demenza come priorità
- sviluppo di iniziative a favore delle persone con demenza
- riconoscimento dei diritti legali delle persone con demenza e dei loro familiari
- ratifica dei trattati internazionali e europei sui diritti umani
- riconoscimento dei diritti dei familiari riguardanti la cura e il lavoro
La nuova ricerca conferma che nessuno dei Paesi considerati raggiunge il punteggio pieno in tutte le 10 categorie e che sono ancora molto presenti differenze significative tra le varie nazioni.
Per quanto riguarda la disponibilità dei servizi di assistenza a ottenere il miglior punteggio sono Svezia e Lussemburgo, ma l’Italia migliora passando dal 23° al 18° posto; parlando invece di accessibilità dei servizi di assistenza, al primo posto troviamo la Finlandia e, anche in questo caso, l’Italia fa passi avanti, risalendo dal 30° al 23°.
Sul fronte del rimborso dei medicinali, al primo posto troviamo Irlanda, Lussemburgo, Svezia, Turchia e Regno Unito (sia Inghilterra sia Scozia): in questi Stati, infatti, tutti i trattamenti anti-demenza sono rimborsati integralmente dal Servizio sanitario ed è presente una politica per limitare l'uso inappropriato di antipsicotici. L’Italia scende di una posizione, dal 6° al 7° posto.
Germania, Spagna e Inghilterra si classificano primi, ma non a punteggio pieno, nella categoria di sperimentazione clinica, dove il nostro paese perde molti punti passando dal 5° al 19° posto; mentre Italia e Spagna sono gli unici Paesi che partecipano a tutti i programmi e progetti europei presi in esame dall’indagine.
La Norvegia si conferma in testa alla classifica per quanto riguarda l’attenzione a riconoscere la demenza come priorità politica e di ricerca nazionale, categoria dove l’Italia migliora passando dal 26° al 18° posto; il Belgio raggiunge il punteggio pieno nell’organizzazione di iniziative di inclusione e di dementia-friendly community, categoria in cui l’Italia recupera 3 posizioni, arrivando 11ͣ.
Italia, Austria, Croazia, Israele, Lettonia, Turchia e Regno Unito hanno seguito le raccomandazioni di Alzheimer Europe sul rispetto dei diritti legali delle persone con demenza e dei loro familiari; il Belgio si posiziona primo per quanto riguarda i diritti di cura e di lavoro riconosciuti, categoria dove il nostro paese raggiunge il 3° posto; infine il Portogallo è l’unica nazione ad aver ratificato tutte le convenzioni internazionali ed europee sui diritti umani, mentre l’Italia scende di alcune posizioni (dall’8° al 15° posto).
Servizi alla persona qualificati grazie a un corso di formazione promosso dall’ospedale Santo Spirito e dalla Comunità di Sant’Egidio
Oggi, 15 aprile, alle 16,30 presso la Sala Benedetto XIII a via di San Gallicano 25a, verranno consegnati 55 diplomi del Corso per Caregiver, promosso dalla ASL Roma 1 e dalla Comunità di Sant’Egidio. I diplomati di quest’anno, italiani e stranieri provenienti da 21 nazionalità - in maggioranza donne -, hanno partecipato a un percorso di formazione teorico e di tirocinio pratico che, nonostante la pandemia in corso, si è svolto in modalità online e in presenza, presso l’ospedale Santo Spirito e la Scuola di Lingua e Cultura Italiana di Sant’Egidio. I corsisti hanno così acquisito le capacità necessarie per assistere bambini, persone con disabilità, anziani non o parzialmente autosufficienti.
I diplomi saranno consegnati da Daniela Pompei, responsabile della Comunità di Sant’Egidio per i servizi agli immigrati, rifugiati e Rom, e da Alessandro Serenelli, cordinatore del corso per la ASL RM 1, alla presenza di Angelo Tanese, direttore generale della ASL Roma 1, e da Antonio Mazzarotto, dirigente della Direzione Regionale per l'inclusione sociale della Regione Lazio. Alla cerimonia di consegna saranno presenti i docenti del corso: medici, infermieri, fisioterapisti e assistenti sociali, ossia professionisti della sanità e dei servizi sociali della ASL Roma 1 e della Comunità di Sant’Egidio che hanno fornito il loro contributo in forma assolutamente gratuita.
Il Corso per Caregiver ha già formato 500 professionisti nella cura della persona, provenienti da ben 54 Paesi, mentre sono già aperte le iscrizioni al nuovo corso.
DIVERSITY BRAND SUMMIT - MERCOLEDÌ 14 APRILE 2021, ore 16.30
Presentazione del Diversity Brand Index 2021 realizzato da Diversity e Focus MGMT e premiazione dei brand con i migliori progetti D&I
“Diversity Factor: born to build trust" è il titolo della quarta edizione del Diversity Brand Summit, l'unico evento in Italia che riunisce e premia i brand più inclusivi, previsto mercoledì 14 aprile dalle ore 16.30 in diretta streaming su www.diversitybrandsummit.it; per l'occasione, verrà presentato il Diversity Brand Index 2021, progetto di ricerca volto a misurare la capacità delle aziende di sviluppare con efficacia una cultura orientata alla diversity & inclusion curato da Diversity e Focus MGMT.
Amazon, Carrefour, Coca-Cola, Durex, Esselunga, Freeda, Google, H&M, Ikea, Intesa Sanpaolo, L'Oréal, Leroy Merlin, Mattel, MySecretCase, Netflix, Pantene, Rai, Spotify, Starbucks, TIM, Vodafone: questi i brand che compongono la TOP20 del Diversity Brand Index per il loro posizionamento nel mercato e le loro iniziative/attività realizzate in Italia nel 2020 (21 brand per un pari merito). Saranno inoltre premiati i 2 brand capaci di lavorare concretamente sulla D&I, impattando anche sulla percezione del mercato finale: un vincitore assoluto e il brand che più di tutti ha saputo utilizzare la leva digitale per creare una cultura di inclusione.
Dalla nuova ricerca emerge che occuparsi di diversity & inclusion non può essere un impegno a intermittenza da parte dei brand, neanche in un anno difficile come il 2020, contraddistinto da una crisi sanitaria, economica e di fiducia senza precedenti e da un mutamento significativo del profilo di consumatrici e consumatori, meno arrabbiate/i, ma un po’ più individualiste/i rispetto alle tematiche della D&I, assumendo connotazioni “tribali”. La fiducia con il mercato si costruisce nel tempo e va alimentata con continuità. Allentare l’attenzione sulla D&I e non mantenere una comunicazione efficace e costante verso il proprio target di riferimento spezza in tempi rapidi la credibilità delle marche sul tema, riduce la fiducia e porta molti brand a essere percepiti come meno inclusivi rispetto al passato.
La D&I si conferma come un potente driver di posizionamento, distintivo anche al tempo della pandemia, con un impatto economico significativo: i brand percepiti come non inclusivi registrano un NPS (Net Promoter Score, indicatore del passaparola) negativo pari al -90,9% (con un’ulteriore riduzione di 4,9 punti percentuali rispetto all’anno precedente), a fronte di un +81,2% invece per i brand percepiti come inclusivi. Ciò si ripercuote sul differenziale della crescita dei ricavi: +23% a favore di quei brand che nonostante la crisi COVID-19 sono riusciti a non interrompere il loro piano di sviluppo e il loro impegno sulla D&I.
Il Diversity Brand Index 2021, sviluppato sulla base di una ricerca condotta da gennaio a dicembre 2020 su un campione statisticamente rappresentativo della popolazione italiana, composto da 1.039 cittadine e cittadini, ha visto una riduzione dei brand citati come “maggiormente inclusivi” (388, contro i 482 dell’anno precedente, ossia il -19,5%), a causa soprattutto della riduzione dei contatti a seguito del lockdown e dell’emergenza epidemiologica. Tale riduzione ha avuto due declinazioni: fisica e digitale. Da una parte alcuni brand che tradizionalmente hanno fondato la relazione con il proprio target sulla dimensione fisica, hanno sofferto l’inaccessibilità degli store e degli spazi commerciali; dall’altra nell’overload informativo legato alla pandemia, vari brand non hanno avuto la forza (e la volontà) di affermare il tema della D&I, focalizzandosi su contenuti ed attività più tattici e meno strategici. Queste dinamiche hanno impattato soprattutto alcuni settori che basano sul contatto diretto la comunicazione con la clientela: nella ricerca, infatti, considerando la composizione settoriale dei primi 50 brand percepiti dal mercato come più inclusivi, rispetto allo scorso anno, perdono terreno aziende legate ai consumer services (-12 punti percentuali – p.p.), all’FMCG (beni di largo consumo, -10 p.p.). Il retail (-2 p.p.) si conferma comunque il settore più presente (20%). Vengono invece premiate le aziende capaci di fare comunicazione su altri canali rispetto a quelli fisici (e-commerce, infotainment, social network): tra quelle percepite come più inclusive, infatti, fanno un balzo in avanti rispetto allo scorso anno quelle dell’information technology (+8 p.p.), apparel & luxury goods (+10 p.p.) e healthcare & wellbeing (+8p.p.).
Cambia anche il profilo delle consumatrici e dei consumatori: si conferma il trend della polarizzazione, con la scomparsa di alcune fasce intermedie in termini di orientamento all’inclusione (es. idealiste/i), ma allo stesso tempo si trasformano le parti della popolazione che in passato erano più negative nei confronti della diversità. Scompare, infatti, il segmento di arrabbiatissime/i e quello di arrabbiate/i passa dal 25,4% dell’anno scorso al 12,4%, con una composizione peculiare: il 63,57% di questo segmento è composto da uomini; vi è poi un 40% di giovani fra i 18 e i 35 anni che vedendosi private/i della propria vita sociale ed assistendo ad una focalizzazione mediatica sulla fascia degli “over” hanno sviluppato un atteggiamento non positivo nei confronti di alcune forme di diversità. Nell’anno del COVID-19 si registra una forte tendenza verso l’egoismo e l’individualismo, con l’arrivo della nuova categoria “tribali” (16,4%), composta da persone in passato distanti dall'inclusione che durante la pandemia hanno percepito come alcune forme di diversità fossero in realtà molto vicine: il loro coinvolgimento sui temi della D&I si declina infatti soprattutto all’interno del proprio nucleo familiare. Vi è poi un forte aumento dei consapevoli (15,7% dal 4,2% della precedente edizione), persone attente all’inclusione, ma non direttamente coinvolte.
In un Paese con un buon grado di conoscenza, familiarità e contatto sui temi della diversity ma ancora con una scarsa pratica, nell’interazione e nel coinvolgimento, la maggioranza delle persone (55,5%) è comunque altamente sensibile e attiva sulle tematiche della diversity, con il 34,5% di coinvolte/i e il 21% di impegnate/i. Togliendo l’unico cluster che esprime disinteresse generale e trasversale sul tema delle diversità, ossia quello di arrabbiate/i, il restante 88% di consumatrici e consumatori è maggiormente propenso verso i brand più inclusivi.
Infatti, anche in epoca COVID-19 viene confermato come le pratiche inclusive sui temi di genere e identità di genere, etnia, orientamento sessuale e affettivo, età, status socio-economico, (dis)abilità e credo religioso (le 7 aree della diversity su cui si è concentrata la ricerca) impattino positivamente sulla reputazione del brand e sulla fiducia che consumatrici e consumatori ripongono nella marca, riversandosi in un indice di passaparola positivo e risultati economici migliori.
In Commissione Giustizia della Camera è iniziato l’esame per una riforma molto attesa: quella sull’affido. Cristina Riccardi, vicepresidente Ai.Bi., evidenzia i tre punti nodali per imprimere all’accoglienza familiare temporanea la svolta storica da tutti auspicata
In questi giorni, la Commissione Giustizia della Camera sta esaminando la proposta di legge delega per la “Riforma dei procedimenti per la tutela e l’affidamento dei minori”, presentata come prima firmataria dall’Onorevole Stefania Ascari (M5S). Si tratta di una legge ambiziosa che punta a mettere a punto un testo condiviso da tutte le forze politiche e recepisca anche le indicazioni provenienti dalle associazioni e le realtà da tempo impegnate in questo settore, Ai.Bi. in testa. Proprio Ai.Bi, insieme al Forum delle Associazioni Familiari, aveva contribuito alla stesura della presentazione e approvazione della legge 149/2001. Una buona legge che, però, per via degli inevitabili cambiamenti sociali avvenuti nel corso degli anni, necessita ora di un aggiornamento: aggiunte, limature e anche una piena applicazione.
Cristina Riccardi, vicepresidente e delegata alle politiche familiari di Ai.Bi., illustra quali sono le proposte che verranno portate all’attenzione della commissione.
AiBi, ispirandosi al sistema sanitario e scolastico, propone canali paralleli ma dialoganti tra pubblico e privato: un privato qualificato con standard essenziali di servizio pari al pubblico che, a sua volta alleggerito, potrebbe alzare anche il proprio livello di prestazione. Un sistema certo da progettare con cura, per non rischiare il venir meno di responsabili ultimi. In sostanza un sistema di accreditamento.
La Convenzione di NY del 1989 sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza e la Convenzione di Strasburgo del 1996 riconoscono il diritto dei minori a essere difesi da un avvocato in tutti i procedimenti giudiziali che lo riguardano.
Le norme procedurali previste all’Art. 8 della legge n. 149/2001 - entrate in vigore solo nel 2007 in seguito a una serie di deroghe – non sono mai entrate in capillare funzione. Questo articolo prevede la figura di un avvocato per l’accertamento dell’adottabilità
Noi proponiamo la nomina di un avvocato che sia in grado di assistere e difendere il minore fin dal momento in cui questi si trova “fuori famiglia”, a garanzia del fatto che vengano rispettati i diritti dei bambini come avviene per le parti adulte coinvolte.
L’avvocato dovrebbe monitorare l’andamento del progetto di affido familiare o in comunità familiari e promuovere ogni azione a protezione dei suoi interessi e diritti.
Come soprattutto le vicende degli ultimi anni hanno dimostrato, c’è un’enorme confusione rispetto alle tipologie delle strutture di accoglienza dei bambini e ragazzi allontanati dalle famiglie d’origine. Alla voce “casa famiglia” corrispondono sia comunità educative che comunità famigliari e case-famiglia vere e proprie.
È fondamentale distinguere i diversi tipi di accoglienza che devono rispondere ai diversi bisogni dei bambini e dei ragazzi.
Da anni Ai.Bi., con il Forum delle Associazioni Familiari, propone il riconoscimento giuridico delle Case-Famiglia intesa come presidio di solidarietà sociale in cui una famiglia costituita da due persone adulte, uomo e donna coniugati o meno, con o senza figli, vivano in modo stabile. In simile contesto la funzione genitoriale è a carico della coppia, benché possano essere previsti supporti di tipo educativo. La proposta del Forum prevede poi la definizione della comunità di tipo famigliare (con almeno un adulto residente) e le comunità educative (con educatori professionali, presenti con modalità “a rotazione”). Il “grado di familiarità” è ciò che dovrebbe definire le diverse strutture di accoglienza. Fermo restando che ciò che serve ad un bambino per una crescita il più possibile serena, è una famiglia.
Domenica 18 si terrà il ritiro mensile della Fraternità del Sermig.
Ore 9,15: intervento di Francesco Occhetta, gesuita.
A seguire: Ernesto Olivero legge la lettera alla Fraternità e agli amici.
Ore 11:30: S.Messa.
Puoi seguire la diretta su: https://www.sermig.org/multimedia/live-streaming/ritiri.html?utm_campaign=14.04.2021&utm_medium=email&utm_source=newsletter
«Dopo più di vent’anni in Italia, è la prima volta che dovrò passare il Ramadan lontana dai miei». A parlare è Sana El Gosairi: in tempi di Covid, i suoi genitori sono rimasti bloccati in Marocco per lo stop agli spostamenti che il Paese ha prorogato fino al 21 maggio.
Gli occhi dei musulmani d’Italia sono tutti puntati sulla luna. Siamo al nono mese del calendario lunare islamico, e l’attenzione non può che essere focalizzata sui tg o sulle comunicazioni degli Ulema, i sapienti islamici, che annunciano formalmente l’inizio del Ramadan. È arrivato! Ramadan Mubarak, Ramadan Karim. Dalla Grande moschea di Roma, dopo una riunione con l’Inaf, arriva la notizia: la luna è stata avvistata. Gli auguri viaggiano con ogni mezzo disponibile, e i social aiutano in questo secondo anno del Covid, che obbligherà i musulmani a stravolgere riti e tradizioni secolari.
All’alba di oggi, per 1,6 miliardi di fedeli nel mondo, inizia il mese del digiuno e della spiritualità. Secondo la tradizione, fu proprio in questo mese che il messaggero di Allah, Muhammad, ricevette la rivelazione del Corano come guida verso la retta via e la salvezza.Nel Ramadan ci si dedica al digiuno, alla preghiera, alla meditazione e all’autodisciplina. Tutti i musulmani sani e adulti hanno l’obbligo di digiunare dall’alba al tramonto, senza mangiare, bere, fumare né praticare sesso. Sono esentati i minorenni, i vecchi e i malati, le donne che allattano, sono incinte o hanno il ciclo.
In Italia, a seguire il Ramadan saranno oltre 2,5 milioni di musulmani, di prima e seconda generazione. A quelli provenienti dall’Africa, dall’Asia, dal Medio Oriente e dall’Europa dell’Est si aggiungono gli italiani convertiti che arricchiscono ancor di più la comunità islamica, multietnica ma anche e soprattutto sempre più italiana.
Se da una parte molti musulmani residenti in Italia, soprattutto pensionati, negli anni scorsi sceglievano di passare questo mese nel loro Paese di origine, a casa di Sana El Gosairi succedeva il contrario. I suoi genitori, residenti in Marocco, venivano in Italia apposta per passare il Ramadan con i figli, cercando di tenere vivo quel senso di famiglia e comunità che in questo mese è centrale. «Sono la sorella maggiore — dice Sana — e quest’anno proverò io a portare avanti la tradizione con i miei due fratelli, quando sarà possibile vederci in sicurezza. A mia figlia di 8 anni invece ho fatto il regalo di comprarle diversi libri in italiano sull’Islam e il Ramadan. Per me è importante e vedo molta curiosità anche da parte sua». Il marito di Sana è italiano: «Nonostante non segua il Ramadan, ha grande rispetto per noi e qualche volta ha provato anche a digiunare per solidarietà, anche se ha bevuto acqua — ride lei — e gli ho detto di lasciar perdere».
Continua a leggere su: https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2021/04/12/news/uniti_solo_via_internet_il_ramadan_solitario_dei_musulmani_d_italia-296212556/
Fonte: Repubblica.it
Recovery plan: l'importanza delle statistiche di genere
webinar
giovedì 15 aprile 2021, ore 17
Coordina: Daniela Carlà Partecipa: Sen.ce Valeria Fedeli
Intervengono: Marcella Corsi, Liana Verzicco e Giulia Zacchia Discutono: Maurizio Mosca e Laura Cima
LINK ZOOM:
https://us02web.zoom.us/j/84000950832?
Reale Foundation, insieme a Confagricoltura e a Onlus Senior Età della Saggezza, con ENAPRA, FAI-Federazione Apicoltori Italiani, Rete Fattorie Sociali, l’Università di Roma Tor Vergata, hanno avviato, in collaborazione con UNHCR, “Cultum Change”, un programma di formazione finalizzato all’inclusione sociale e all'inserimento lavorativo dei rifugiati in agricoltura.
Alle azioni previste dal Programma collaborerà anche la Cooperativa Kairos, titolare del Progetto Radix.
Cultum Change nasce da un’idea di Reale Foundation e sulla scia delle proposte fatte da Confagricoltura al governo per risolvere la crisi di manodopera nel settore agroalimentare italiano, dai corridoi verdi, ai voucher agricoli, fino a dare lavoro a chi percepisce un sussidio. In particolare, Cultum Change si rivolge a due tipologie di soggetti beneficiari:
• le aziende agricole e i piccoli produttori italiani che hanno bisogno di manodopera specializzata in brevissimo tempo. Le aziende saranno selezionate da Confagricoltura secondo criteri non solo produttivi, ma anche di sostenibilità e di particolare attenzione alle condizioni di lavoro;
• i rifugiati e i titolari di protezione internazionale, in quanto soggetti particolarmente svantaggiati e fragili rispetto all’accesso al mondo del lavoro.
La proposta di programma è stata tradotta in una piattaforma on line al sito https://www.cultumchange.it/ che, grazie al supporto di ENAPRA – Ente di Formazione di Confagricoltura - mette a disposizione dei rifugiati disoccupati corsi di formazione mirati, per l'inclusione e la crescita professionale, nel tempo, di coloro che si iscriveranno alla piattaforma.
I candidati e le aziende interessate ad entrare nella rete di Cultum Change e a collaborare alla buona riuscita del programma, dovranno compilare un apposito modulo dove, oltre ai dati, saranno indicate le disponibilità e le competenze lavorative, così da agevolare l’incontro tra il rifugiato e l’azienda.
Nell’ambito delle attività previste da Cultum Change, ENAPRA ha messo a punto, all’interno della propria piattaforma E-learning, un’area dedicata al progetto. L’accesso, gratuito, permette ai beneficiari di fruire di una serie di contenuti formativi con vari formati come ad esempio webinar, corso E-learning e pillole didattiche utili a creare le competenze necessarie per operare come addetto in un’azienda agricola.
L’agricoltura ha saputo contribuire alla ripresa e alla crescita sostenibile del Paese. Nel 2020, durante l’emergenza provocata dalla pandemia, ha svolto un ruolo fondamentale per la tenuta dell’Italia. Anche nei periodi di massimo rischio sanitario e di lockdown, le imprese agricole non hanno mai interrotto le attività. Hanno mantenuto la continuità produttiva e assicurato l’approvvigionamento di cibo, garantendo alti livelli di sicurezza per i lavoratori e per i consumatori.
Oggi più che mai il lavoro e la manodopera sono essenziali per l’impresa agricola, e l’agricoltura sta assumendo nuovamente quel ruolo trainante l’economia e soprattutto quello di ammortizzatore sociale che permette a categorie svantaggiate di trovare impiego ed una propria realizzazione. Per questo la formazione gioca un ruolo fondamentale: avere manodopera specializzata permette una crescita personale e professionale, anche dell’impresa stessa.
“Cultum Change permetterà ai rifugiati di costruire percorsi di inserimento lavorativo di qualità grazie a moduli di formazione e-learning, processi di job coaching e accompagnamento personalizzati, anche dopo il termine del contratto stagionale”, ha sottolineato Angelo Santori, Segretario nazionale di Onlus Senior - L’Età della Saggezza.
“Cultum Change si inserisce in un più ampio progetto di Reale Group che persegue l’inclusione sociale. L’agricoltura è uno dei settori più competitivi del sistema produttivo italiano. Nel 2020 con la sua crescita ha contribuito in modo significativo a mitigare la recessione ed ora si appresta a offrire un apporto determinante alla ripresa. Siamo felici di contribuire, tramite questo progetto, all’orientamento dell’agricoltura verso l’inclusione sociale e verso modelli di produzione e di consumo capaci di correggere gli squilibri sociali e ambientali che minacciano la nostra epoca – ha dichiarato Virginia Antonini, Head of Reale Foundation – Tutto questo è possibile grazie alla partnership con grandi realtà storicamente amiche come Confagricoltura e UNHCR, che ci permettono di generare, insieme, impatto sociale positivo e innovazione economica.”
“Tra i possibili indirizzi formativi c’è anche quello in apicoltura, settore di grande utilità per l’agricoltura e per l’ambiente – ha sottolineato Raffaele Cirone, presidente della FAI-Federazione Apicoltori Italiani -. In questo ambito di specializzazione sarà la Federazione Apicoltori Italiani, partner del programma, a prendere in carico le richieste dei rifugiati interessati a maturare una competenza nel settore della biodiversità”.
“Rete Fattorie Sociali ha aderito all’iniziativa perché progetti come Cultum Change contribuiscono a contenere il disagio sociale generato dalla pandemia, favorendo soluzioni non precarie ma sostenibili nel tempo”, ha affermato il presidente della Rete, Marco Berardo Di Stefano.
“L’accesso a questi percorsi formativi in ambito agricolo rappresenta per le persone rifugiate un’occasione preziosa per migliorare e riqualificare le proprie competenze, accrescendo le opportunità di inserimento lavorativo dignitoso e lontano da dinamiche di intermediazione illecita e sfruttamento”, ha concluso Chiara Cardoletti, Rappresentante di UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino.
Noi due siamo uno, di Matteo Spicuglia, ci racconta una storia che non deve essere dimenticata e che merita una voce forte: la storia di Andrea Soldi.
Andrea soffre da anni di schizofrenia, la madre, il padre e la sorella sono il suo sostegno e piazza Umbria, a Torino, il posto del cuore. Ha quarantacinque anni, non è violento, non è mai stato pericoloso, eppure, quel 5 agosto morirà a causa di un Trattamento sanitario obbligatorio eseguito da alcuni vigili urbani e dal personale medico.
Dopo la morte, la famiglia Soldi ha trovato alcune pagine che erano il diario di Andrea in cui la trascrizione lucidissima della malattia illumina il percorso psicologico e i silenzi che per anni lo avevano avvolto.
Matteo Spicuglia, giornalista che ha seguito il caso e che non ha voluto fermarsi alla cronaca, allarga lo sguardo dalla panchina su cui è morto Andrea alla realtà dei TSO, dalla sua esistenza difficile al mondo della malattia psichica, dalla famiglia torinese alle tante altre che si trovano a convivere con pregiudizi e inadeguatezza dei servizi medici e sociali nella gestione di patologie che soffrono ancora lo stigma sociale.
Attraverso le pagine dei diari di Andrea, i ricordi del padre e della sorella, il confronto con gli psichiatri scopriamo un uomo e il racconto delle proprie fragilità, le distorsioni, le paure, i sorrisi e gli amori del "gigante buono": ci avviciniamo agli universi che lo attraversavano e alla testimonianza autentica e sconcertante della propria malattia.
Il ritorno di attenzione su Piera Maggio e sua figlia Denise Pipitone, scomparsa nel nulla il primo settembre 2004 all'età di 4 anni, mi ha fatto risalire alla mente e al cuore il rapporto con l'amatissima Mazara del Vallo, della quale sono stata nominata cittadino onorario dall’allora sindaco Nicolò Cristaldi. Prima di parlare del caso disperatissimo di Piera Maggio e del padre naturale di Denise, Piero Pulizzi, vorrei sottolineare quanto Mazara del Vallo sia una terra di frontiera e come per anni, dal 2007 ad oggi, la mia Fondazione Movimento Bambino abbia lavorato con Carmela Nazareno, della Associazione Maria SS. del Paradiso, coinvolgendo tutti i centri didattici della città. Il nostro obiettivo era quello di mobilitare i ragazzi a svolgere un'attività creativa intorno ai temi della legalità, dell'inclusione, della creatività, del pensiero bambino. Pensate che a Mazara del Vallo esiste un vicolo che si chiama appunto :“Vicolo del Pensiero bambino”, dove ci sono mattonelle dipinte dai bambini e incassate nei muri, sulle quali i bambini delle elementari e delle medie hanno potuto tracciare un loro pensiero.
Ecco, io vorrei sperare che il caso di Piera Maggio e di Denise Pipitone fosse affrontato proprio con la sensibilità, con l'empatia con il coraggio, con la voglia di trasformare il mondo che ogni bambino, se si riconosce nei familiari, nella scuola, nel sociale rappresentato dalle guide autorevoli, può esprimere, per realizzare se stesso anche nel rapporto con gli altri. Il pensiero bambino ci deve guidare dunque a comprendere che, seppure è stata resa vana la speranza dei genitori di Denise di ritrovarla nella ragazza russa che ha partecipato a quel discutibile programma televisivo per ricercare, dopo tanti anni, sua madre e ha provato la delusione di verificare che il suo gruppo sanguigno non appartiene a quello di sua madre, è importante il fatto che queste due persone possano incontrarsi. L’incontro tra una madre che da sempre ricerca una figlia e una figlia che da sempre ricerca la madre, potrebbe, infatti, compensare, per quanto parzialmente, il dolore, l'attesa, la sofferenza, la paura che ha contrassegnato gli anni di entrambe, vissuti in attesa di una soluzione al loro dramma.
Peraltro, non sempre le famiglie o le vite familiari rispecchiano quello di cui gli esseri umani hanno veramente bisogno. Molte sono le famiglie disfunzionali, molti sono i drammi che si vivono in famiglia e che, in questo caso, non hanno nemmeno potuto essere adeguatamente soccorse. Dalla copertura dei “panni sporchi che si lavano in casa”, il dramma di Piera Maggio ha portato allo scoperto una realtà familiare e sociale che è stata per lei un gran tormento. La storia di questa ragazzina russa, che è stata rapita e ha vissuto in orfanotrofio, sicuramente, poi, ne contiene un'altra altrettanto dolorosa che questo incontro potrebbe compensare, creando una famiglia del cuore. Una famiglia di persone che hanno avuto sofferenze analoghe, una famiglia che non soltanto rappresentata dal legame di consanguineità. Sappiamo bene quanti risvolti dolorosi, ambivalenti, negativi, tragici, criminali può contenere questa vicenda, ma dare l'opportunità che si costituisca un legame di solidarietà e di affetto, in attesa di qualcosa di nuovo, di importante, è decisivo e potrà veramente trasformarsi a loro vantaggio. Peraltro, quella somiglianza a cui facevo riferimento prima è talmente incredibile che ci dà certamente un messaggio: al di là dell’immagine, del volto delle persone, c'è una somiglianza nel loro tormento. E grazie a questa somiglianza si è riaperto il caso. Una somiglianza di dolore e di intenti che rimanda a una possibilità di essere affini per motivi che “non sono ma sono” quelli di una comune sofferenza.
Prof.ssa Maria Rita Parsi
Sabato 17 aprile, ore 15.30, si terrà l'evento Formazione Pubblica sui beni comuni "Pratiche di Antimafia e democrazia partecipata! Per un uso diffuso del regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la rigenerazione dei beni comuni a Partinico". Si discuterà del percorso dell'Arena Bene Comune nel Comune di Partinico.
Interverranno anche: Valentina Speciale (Partinico Solidale), Vincenzo Roberto Margiotta (Inkon), Antonio Vesco (Università di Torino), Pasquale Bonasora (Labsus).
L'evento sarà trasmesso sulla pagina Facebook di Partinico Solidale.
Si chiamano PEFStarter e Life Cycle Communication Tool e sono due nuovi strumenti ideati per supportare le imprese nella misurazione, valutazione e corretta comunicazione dell’impatto ambientale dei loro prodotti. L’obiettivo è di favorire l’adozione dell’impronta ambientale PEF (Product Environmental Footprint), promossa dalla Commissione europea per “certificare” l’affidabilità dei green claim, le affermazioni sul minore impatto ambientale di prodotti o servizi, evitando quindi il cosiddetto green washing, ovvero le informazioni ingannevoli sulle loro reali qualità ambientali.
I due tool sono stati sviluppati nell’ambito del progetto LIFE EFFIGE[1] cui partecipano ENEA, Scuola Superiore Sant’Anna (coordinatore), Assofond per la filiera delle fonderie, FederlegnoArredo per quella del legno-arredo, Consorzio Agrituristico Mantovano per l’agroalimentare e CAMST per la ristorazione. Il metodo PEF è già stato sperimentato da alcune aziende che hanno misurato l’impatto ambientale di loro prodotti, realizzando poi azioni migliorative dei risultati e una corretta comunicazione.
“Con il progetto PEFStarter vogliamo supportare le imprese, soprattutto le PMI, a familiarizzare con il metodo PEF, per comprenderne obiettivi, opportunità e procedure, nel convincimento che questo possa contribuire alla transizione verso un sistema economico sostenibile”, sottolinea Paola Sposato, ricercatrice del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi produttivi e Territoriali ENEA.
Accessibile gratuitamente all’indirizzo pefstarter.enea.it, il tool è disponibile in italiano e in inglese ed è suddiviso in tre sezioni: la prima introduce il concetto di politiche ambientali d’impresa, con particolare riferimento alla comunicazione ambientale di prodotto e all’approccio di ciclo di vita; la seconda illustra le opportunità del metodo PEF per le imprese; la terza descrive i passaggi principali per sviluppare uno studio PEF, ovvero, come raccogliere i dati, elaborare gli impatti ambientali, utilizzare e comunicare i risultati. Nel complesso il tool offre un percorso informativo personalizzato sugli aspetti principali del metodo PEF, al termine del quale viene prodotto un report riassuntivo scaricabile, oltre ad altri approfondimenti e informazioni.
Il Life Cycle Communication Tool, sviluppato dall’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna, consente di ‘tradurre’ i risultati forniti dagli indicatori (ideazione, produzione, uso e smaltimento) con i quali si calcola l’impronta ambientale di un prodotto nel suo intero ciclo di vita in un linguaggio comprensibile anche dai non addetti ai lavori. Ad esempio, un determinato quantitativo di emissioni di gas serra evitati si potrà tradurre in numero di “viaggi in bus Milano-Roma risparmiati”, con relativa documentazione a supporto. Lo strumento è scaricabile al sito di progetto (www.lifeeffige.eu), nella sezione Strumenti.
“Riteniamo che nel contesto attuale di Green Deal europeo, l’interesse da parte delle imprese verso il miglioramento e la comunicazione ambientali dei propri prodotti sia destinato a consolidarsi e speriamo che gli strumenti sviluppati possano supportare un numero crescente di imprese nell’intraprendere questo cammino”, conclude Patrizia Buttol, ricercatrice del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi produttivi e Territoriali ENEA.
E’ stato firmato a Parigi, dai ministri dell’Interno e degli Esteri, insieme ai responsabili della Comunità di Sant’Egidio e delle Semaines Sociales de France, il rinnovo del protocollo per il progetto dei Corridoi umanitari. L’accordo stabilisce le condizioni di identificazione, accoglienza e integrazione in Francia nei prossimi due anni di 300 rifugiati attualmente in Libano, provenienti dall'Iraq e dalla Siria, con priorità a persone e famiglie vulnerabili.
Questo secondo protocollo segue il primo, firmato nel 2017, che ha già permesso, con gli stessi criteri, l'ingresso in Francia di 504 persone.
Avviati in Italia nel febbraio 2016, i Corridoi umanitari hanno già accolto in Europa (in Italia, Francia, Belgio e Andorra) oltre 3.500 rifugiati in fuga da Siria, Iraq, Libia, Etiopia e Lesbo, ai quali è stato garantito un percorso sicuro (in aereo) insieme ad un programma di integrazione. Promossi dalla Comunità di Sant’Egidio, insieme a diverse realtà a seconda dei protocolli, come la Federazione della Chiese evangeliche in Italia e la Conferenza episcopale italiana - e autofinanziati - i Corridoi umanitari costituiscono ormai un modello concreto e replicabile a livello europeo.
Le storie di coloro che sono già arrivati dimostrano che è possibile non solo salvare chi rischia di cadere nelle mani dei trafficanti di esseri umani, ma anche avviare percorsi di integrazione. Soprattutto in questo tempo di pandemia, pieno di difficoltà di ogni tipo – basta pensare alla situazione di alcuni Paesi di prima accoglienza, come lo stesso Libano - è importante non lasciare soli tanti profughi che attendono, con le loro famiglie, una risposta di solidarietà. l Corridoi umanitari hanno visto crescere in cinque anni la generosità di molti cittadini che, con il loro impegno volontario e gratuito dimostrano che è possibile costruire un'Europa coerente con i suoi ideali di umanesimo e di solidarietà.